ALCUNI PRINCIPI GENERALI DI FISICA
SECONDO LA FILOSOFIA ERMETICA
(Dal Trattato dell’Opera Ermetica, Dom A. GiuseppePernety - 1758)
Non è dato a tutti di penetrare sino al santuario dei segreti della Natura: pochissimi individui conoscono il cammino che vi conduce. Alcuni, impazienti, deviano prendendo dei sentieri che s’illudono siano scorciatoie; altri s’imbattono, quasi ad ogni piè sospinto, in crocicchi che li mettono in imbarazzo: vanno a sinistra e vanno a finire al Tartaro in luogo di scegliere la via di destra che conduce ai Campi Elisi, poiché non hanno come Enea una Sibilla che li guidi. Altri, infine, non suppongono nemmeno di sbagliarsi seguendo la via più battuta e più frequentata. Nondimeno, dopo lungo e penoso lavoro, s’accorgono che lungi dall’avere conquistata la mèta o l’hanno lasciata da una parte o le hanno rivolto la schiena.
Gli errori trovano la loro sorgente nel pregiudizio, come pure nella mancanza di perspicacia e di salde dottrine. La via vera da seguire non può essere che semplicissima, dato che nulla v’è di più semplice delle operazioni della Natura. Ma sebbene già tracciata da questa Natura stessa è poco frequentata; e quegli stessi che la percorrono si fanno un geloso dovere di dissimulare le loro tracce con rovi e spine. Non si procede se non attraverso l’oscurità delle favole e degli enigmi ed è ben difficile non fuorviare se la nostra interiore guida non ci indica il cammino.
Necessita, dunque, conoscere la Natura prima di proporsi il compito d’imitarla e d’accingersi a correggere ciò ch’essa ha lasciato da perfezionare. Lo studio della Fisica ci fornisce questa conoscenza: ma non la Fisica delle Scuole, dottrinaria e teorica che ci rende molto dotti di termini più oscuri e meno comprensibili delle cose stesse che si vogliono spiegare. Fisica che, pretendendo definirci chiaramente un corpo, ci dice che è un composto di punti e frazioni; di punti che scorrenti nello spazio formeranno delle linee; dette linee raffrontate: una superficie; e da questa la grandezza e le dimensioni. Dalla riunione delle parti o frazioni risulterà un corpo e dalla loro disunione la divisibilità all’infinito o se lo si vuole all’indefinito. Infine, tanti altri ragionamenti di simile fatta poco atti a soddisfare lo spirito curioso di pervenire a una conoscenza palpabile e pratica degli individui che compongono questo vasto Universo. Necessita rivolgersi alla Fisica Chimica, la quale è una scienza pratica, fondata su una teoria, della quale l’esperienza prova la verità. Ma questa esperienza, sfortunatamente, è così rara che moltissimi sono indotti a mettere in dubbio la sua esistenza.
Invano alcuni Autori, persone di spirito, geniali e dottissimi in altre branche dello scibile, hanno voluto inventare dei sistemi per rappresentarci con una ben fiorita descrizione, la formulazione e la nascita del mondo. Ma l’uno è stato preso nei vortici il movimento rapidissimo dei quali l’ha travolto perdendosi con essi: la sua prima materia divisa in materia sottile, ramosa o globulosa, non ci ha lasciato che una vana materia per sottili disquisizioni senza insegnarci ciò che è l’essenza dei corpi. Un altro, non meno ingegnoso, ha immaginato di sottoporre tutto al calcolo e ha supposto un’attrazione reciproca, la quale al massimo potrebbe aiutarci nel renderci ragione del movimento attuale dei corpi, senza fornirci alcuna spiegazione sui principi dai quali i corpi stessi sono composti. Egli sapeva benissimo che tanto valeva il far rivivere sotto un nuovo nome le qualità occulte dei Peripatetici, già da lungo tempo bandite dalle scuole: inoltre egli non ci ha divulgato la sua attrazione che quale ipotesi, mentre i suoi seguaci si sono creduti in dovere di sostenerla come cosa reale.
La testa d’un terzo, percossa dallo stesso colpo col quale la sua pretesa cometa urtò il Sole, ha lasciato prendere alle proprie idee un andazzo tanto poco regolare, quanto quello ch’egli attribuisce ai pianeti, formati, secondo lui, dai frammenti causati da quell’urto del corpo igneo dell’Astro che presiede il giorno.
Le fantasticherie di tanti altri simili scrittori sono vaneggiamenti che altro non meritano se non disprezzo e indignazione. Tutti coloro che hanno voluto allontanarsi da quello che Mosè ci ha lasciato nella Genesi si sono sperduti nei loro vacui ragionamenti.
Non ci si venga a dire che Mosè scrivendo si proponeva di formare la mentalità dei Cristiani e non quella dei Filosofi. Istruito dalla rivelazione ottenuta dall’Autore stesso della Natura, versato, inoltre, perfettamente in tutte le scienze degli Egizi, comprese le più dotte e le più sublimi fra tutte quelle che noi coltiviamo: chi meglio di lui era in grado d’insegnarci qualche cosa di certo sulla storia dell’Universo?
Il suo sistema è verità: proclama la magnificenza, l’onnipotenza e la Saggezza dell’Unica Legge; ma nel contempo tutto ivi manifesta ai nostri occhi la Creatura tale quale essa è. Il Creatore parlò e tutto fu compiuto, «dixit, et facta sunt». Questo insegnamento era sufficiente per i Cristiani, ma non lo era abbastanza per i Filosofi. Mosè aggiunge donde questo mondo è stato estratto e quale ordine è piaciuto all’Essere Supremo di mettere nella formazione di ciascun regno della Natura. Egli va oltre: dichiara positivamente qual è il principio di tutto ciò che esiste e ciò che dà vita e movimento a ciascun individuo. Poteva dirne di più con tanta brevità? Si può pretendere che avesse dovuto descrivere l’anatomia di tutte le parti di detti individui? E quand’anche l’avesse fatto, ci si sarebbe maggiormente rimessi in lui? Si vuole esaminare e questo lo si vuole perché si dubita; si dubita per ignoranza: e su un tale fondamento quale sistema si può costruire, il quale subito non crolli?
Il Saggio non poteva meglio designare questa specie di Architetti, questi costruttori di sistemi, se non che L’Essere ha esposto l’Universo ai loro vani ragionamenti. Precisiamo: non v’è alcuno, versato nella scienza della Natura, che non riconosca in Mosè un uomo ispirato dalla Legge Eterna, un grande Filosofo e un vero Fisico. Egli ha descritto la creazione del mondo e dell’uomo con tanta verità, come se vi avesse assistito di persona. Ma riconosciamo pure che i suoi scritti sono tanto sublimi e non sono alla portata di tutti: quelli che gli sono contrari lo sono perché non li capiscono affatto dato che le tenebre della loro ignoranza li acceca e perciò i loro sistemi costituiscono dei deliri sconnessi d’una testa piena di vanità e malata per grande presunzione.
Niente di più semplice della Fisica. Il suo obbiettivo, per quanto appaia molto complesso agli occhi degli ignoranti, non ha che un unico principio, ma diviso in frazioni le une più sottili delle altre. Le differenti proporzioni impiegate nella mescolanza, la riunione e la combinazione delle particelle più sottili con quelle che lo sono meno formano tutti gli individui della Natura. E dato che il numero di queste combinazioni è quasi infinito, tale è anche quello dei misti.
L’Essere è un Essere Eterno, una Unità infinita, principio radicale di ogni cosa: la sua essenza è una immensa luce; la sua potenza una onnipotenza; il suo desiderio un bene perfetto; la sua assoluta volontà un’opera compiuta. A chi volesse saperne di più non gli resta che lo stupore, l’ammirazione, il silenzio e un impenetrabile abisso di gloria.
Prima della creazione Egli era come riflesso in se stesso e bastante a se stesso: nella creazione partorì e diede alla luce questa grande opera che aveva concepito da ogni eternità. Si sviluppò con una estensione manifesta di se stesso e rese attualmente materiale quel mondo ideale per rendere palpabile l’immagine del suo Essere. Questo è ciò che Ermete ha voluto farci intendere quando dice che L’Essere Unico cambiò forma, allorché il mondo fu manifestato e mutato in luce. Parrebbe attendibile che gli Antichi intendessero significare qualcosa d’approssimativo con la nascita di Pallade, uscita dal cervello di Giove col concorso di Vulcano ossia della luce.
Non meno saggio nelle sue combinazioni di quanto potente nelle sue operazioni, il Creatore ha messo un così bell’ordine nella massa organica dell’Universo che le cose superiori sono mischiate senza confusione con le inferiori e diventano simili per una certa analogia. Gli estremi si trovano legati in maniera molto serrata da un medio non sensibile o nodo segreto di questo adorabile operatore: tutto obbedisce di concerto alla direzione del Moderatore Supremo senza che il legame delle differenti parti possa essere rotto da altri se non solo da colui che le ha messe insieme. Ermete aveva, dunque, ben ragione di dire nella sua «Tavola di Smeraldo» che: ciò che è in basso è simile a ciò che è in alto, per perfezionare tutte le cose ammirabili che vediamo.
DELLA PRIMA MATERIA
Alcuni Filosofi hanno supposto una materia preesistente agli elementi; ma poiché non la conoscevano affatto ne hanno parlato in maniera oscura e molto confusa. Aristotile, che parrebbe aver ammesso l’eternità del mondo, parla intanto d’una prima materia universale senza neppure osare d’impegnarsi negli ambagi delle idee ch’egli ne aveva: a tale riguardo s’è espresso in maniera molto ambigua. Egli la considerava come il principio di tutte le cose sensibili e sembra voler insinuare che gli elementi si sono formati per una specie di antipatia o repulsione che sussisterebbe fra le parti di detta materia. Avrebbe di certo filosofato meglio se vi avesse visto solo una simpatia e un accordo perfetto poiché non si nota contrarietà alcuna fra gli elementi stessi, per quanto ordinariamente di creda che il fuoco sia l’opposto dell’acqua. Non si cadrebbe in tale errata concezione le quante volte si considerasse che tale pretesa opposizione non proviene se non dalla tendenza delle loro qualità e dalla differenza di sottilità delle loro parti, dato che non v’è acqua senza fuoco.
Talete, Eraclito, Esiodo hanno considerato l’acqua come la prima materia delle cose. Mosè parrebbe favorire questo concetto dando i nomi d’abisso e d’acqua a questa prima materia. Non che egli intendesse pertanto l’elemento acqua che noi beviamo ma una specie di fumata, un vapore umido, spesso e tenebroso il quale, in seguito, si condensa più o meno secondo quella compattezza che il Creatore s’è compiaciuto di dare alle cose create. Questa nebbia, o l’immensità di questo vapore, si concentra, s’ispessisce o si rarefa in un’acqua universale e caotica, la quale perciò diventa il principio d’ogni cosa per il presente e per il futuro.
All’inizio detta acqua era volatile tal quale la nebbia; la condensazione ne formò una materia più o meno fissa. Ma qualunque possa essere questa materia che è il primo principio delle cose, essa fu creata entro tenebre troppo fitte e buie perché lo spirito umano possa discernerla chiaramente. Solo l’Autore della Natura la conosce e invano i Teologi e i Filosofi vorrebbero precisare ciò che essa fosse.
Intanto è molto verosimile che questo abisso tenebroso, questo caos fosse una materia acquosa e umida, come la più adatta e la più disposta a essere attenuata, rarefatta, condensata e, per queste sue qualità, servire alla costruzione dei Cieli e della Terra.
Questa massa informe viene denominata talvolta terra vuota e talvolta acqua per quanto non fosse né l’una né l’altra in atto ma solamente in potenza. In tal caso sarebbe permesso arguire che essa poteva essere presso a poco un fumo, un vapore denso e tenebroso, torbido e senza movimento, anneghittito da una specie di freddo e privo di azione sino a quando la stessa parola che creò questo vapore v’infuse uno spirito vivificante, il quale divenne come visibile e palpabile dagli effetti che vi produsse.
La separazione delle acque superiori dalle inferiori di cui è viene fatta menzione nella Genesi, sembra essersi compiuta attraverso una specie di sublimazione delle parti più sottili e le parti più tenui con quelle che lo erano di meno presso a poco come in una distillazione durante la quale gli spiriti salgono e si separano dalle parti più pesanti e più terree e occupano la sommità del vaso, mentre le più pesanti restano nel fondo.
Questa operazione non potette compiersi senza il concorso di quello spirito luminoso che fu infuso in detta massa. Perché la luce è uno spirito igneo, il quale agendo su detto vapore e in esso rese alcune parti più pesanti col condensarle, diventate opache a ragione della loro più fitta coesione; e questo spirito le spinse verso la regione inferiore ove conservano le tenebre nelle quali erano primieramente avvolte. Le parti più tenui, diventate sempre più omogenee per l’uniformità della loro tenuità e della loro purezza, furono elevate e spinte verso la regione superiore dove, meno condensate, lasciarono un più libero passaggio alla luce, la quale vi si manifestò in tutto il suo splendore.
Quello che prova che l’abisso tenebroso, il caos o la prima materia del mondo fosse una massa acquosa e umida è che, oltre le ragioni da noi riportate, ne abbiamo una prova abbastanza palpabile sotto i nostri occhi. Infatti, la proprietà dell’acqua è di scorrere, di fluire intanto che il calore l’anima e la conserva nel suo stato fluidico. La continuità dei corpi, l’adesione delle loro parti è dovuta all’umore acqueo.
Questo umore acqueo è come la colla o la saldatura che riunisce e lega le parti elementari dei corpi. Fino a quando essa non viene del tutto completamente separata, i corpi conservano la solidità della loro massa. Ma se il fuoco viene a riscaldare questi corpi oltre quel grado necessario per la loro conservazione nella loro maniera attuale di essere esso scaccia, rarefa detto umore, lo fa evaporare e il corpo si riduce in polvere poiché il legame che ne riuniva le parti non vi è più.
Il calore è il mezzo e lo strumento che il fuoco impiega nelle sue operazioni; esso produce sempre per suo mezzo due effetti che sembrerebbero opposti mentre sono molto conformi alle leggi della Natura e che ci dimostrano ciò che si è verificato nel riordinamento del caos. Separando la parte più tenue e più umida dalla più terrestre, il calore rarefa la prima, mentre condensa la seconda. In tal modo, con la separazione degli eterogenei, si compie la riunione degli omogenei.
In effetti, noi non vediamo nel mondo se non un’acqua più o meno condensata. Tra il Cielo e la Terra tutto è fumo, nebbia, vapori spinti dal centro e dall’interno della terra ed elevati al disopra della sua sfera, in quella parte che chiamiamo aria. La insufficienza degli organi dei nostri sensi non ci consente di percepire i tenuissimi vapori o emanazioni dei corpi celesti che chiamiamo influenze e che si mescolano con le evaporazioni che si sublimano dai corpi sublunari. Bisogna che gli occhi dello spirito vengano in soccorso della insufficienza degli occhi del corpo.
In ogni tempo i corpi traspirano un tenue vapore, il quale si manifesta più chiaramente in estate. L’aria riscaldata sublima le acque in vapori, li aspira, li attira a sé. Dopo una pioggia, allorquando i raggi del Sole dardeggiano la terra, si vede questa fumare ed esalare i suoi vapori. Questi vapori si spandono nell’aria sotto forma di nebbie allorquando non si elevano di molto dalla superficie terrestre: ma quando salgono nella regione mediana si vedono vagare sotto forma di nubi; indi si risolvono in pioggia, in neve, in grandine ecc. e cadono per ritornare alla loro origine.
Questa traspirazione l’operaio la sente con grande fastidio quando lavora attivamente; ed anche l’ozioso la nota durante i forti calori; quindi i sudori che corrono spesso lungo il corpo manifestano realmente la continua sua traspirazione.
Quelli che hanno seguito le idee dei Rabbini hanno creduto che avanti questa prima materia fosse esistito un certo primo principio più antico di questa e al quale, molto impropriamente, hanno dato il nome di «Hyle». Questo sarebbe non un corpo ma una immensa ombra; non una cosa, ma una immagine molto oscura della cosa e che si dovrebbe piuttosto chiamare un fantasma tenebroso dell’Essere, una notte nerissima e il rifugio o il centro delle tenebre. Infine, una cosa che non esiste se non in potenza e solamente tale che fosse possibile allo spirito umano immaginarsela in sogno. Ma l’immaginazione stessa non saprebbe rappresentarcela diversamente di come un nato cieco si figura la luce del Sole. Questi settari del Rabbinismo hanno giudicato di bene apporsi col dire che L’Essere estrasse da questo primo principio un abisso tenebroso, informe come la materia affine degli elementi e del mondo. Ma infine tutto concordemente ci indica l’acqua quale prima materia delle cose.
Lo Spirito dell’Unica Legge che era portato sulle acque fu lo strumento del quale L’Unica Legge del mondo si servì per dar forma all’Universo: nell’attimo diffuse la luce, ridusse dallo stato di potenza in atto le semenze delle cose prima confuse nel caos e per mezzo d’una alterazione costante di coagulazioni e di risoluzioni, perpetua tutti gli individui. L’Essere diffuso in tutta la massa ne anima ogni parte e per mezzo di una continua e segreta operazione dà il movimento ad ogni individuo secondo il genere e la specie che gli ha assegnato. E’ propriamente l’anima del mondo e chi ignora o la nega, ignora le leggi dell’Universo.
DELLA NATURA
A questo primo motore o principio di generazione e d’alterazione se ne aggiunge un secondo corporificato, al quale diamo il nome di Natura. L’occhio dell’Essere, sempre vigilante la propria opera, è propriamente la Natura stessa e le leggi che ha messe per la sua conservazione sono le cause di tutto quanto si opera nell’Universo. La Natura che abbiamo chiamato un secondo motore corporificato è una Natura secondaria, un servitore fedele che obbedisce esattamente agli ordini del suo padrone o uno strumento azionato dalla mano di un operaio incapace di sbagliarsi. Questa Natura o causa seconda è uno spirito universale che conserva una proprietà vivificante e fecondante della luce creata nel cominciamento e comunicata a tutte le parti del macrocosmo. Zoroastro ed Eraclito l’hanno chiamato uno spirito igneo, un fuoco invisibile e l’anima del mondo. Di questo parla Virgilio, nell’Eneide, quando scrive: «Nel cominciamento uno spirito igneo fu infuso nel cielo, nella terra e nel mare, nella Luna e negli Astri Titanici o terrestri (cioè i minerali e i metalli, ai quali si sono dati i nomi dei Pianeti). Questo spirito concede loro la vita e li conserva. Anima diffusa in tutto il corpo, essa dà il movimento a tutta la massa e alle distinte sue parti. Da detto spirito igneo procedono tutte le specie degli esseri viventi: quadrupedi, uccelli, pesci. esso è il principio del loro vigore: la sua origine è celeste ed è comunicato loro attraverso la semenza che li produce».
L’ordine che regna nell’Universo non è altro se non l’effetto sviluppato dalle leggi eterne. Tutti i movimenti delle diverse parti della sua massa ne sono governati. La Natura forma, altera e corrompe senza posa e il suo moderatore, presente da per tutto, ripara continuamente le alterazioni del lavorio della stessa.
Possiamo dividere il mondo in tre regioni: la superiore, la mediana e l’inferiore. I Filosofi Ermetici danno alla prima il nome d’intelligibile: dicono che essa è spirituale, immortale o inalterabile, e che è la più perfetta.
La mediana è chiamata celeste: contiene i corpi meno imperfetti e una quantità di spiriti, ma è da sapere che per questi spiriti i Filosofi non intendono gli spiriti immateriali o angelici ma solo spiriti fisici, tal quale lo spirito igneo sparso nell’Universo. Così come ne intendono della spiritualità della loro regione superiore. Questa regione, essendo intermedia, partecipa della superiore e della inferiore. Essa serve come mezzo per riunire quei due estremi e come canale attraverso il quale si comunicano incessantemente alla regione inferiore gli spiriti vivificanti che animano tutte le parti. Essa non è soggetta che a mutazioni periodiche.
L’inferiore o elementare comprende tutti i corpi sublunari. Essa non riceve dalle altre due regioni gli spiriti vivificanti se non per ritornarli alle stesse, questo perché tutto in questa regione inferiore vi si altera, tutto vi si corrompe, tutto vi muore e non vi si produce generazione che non sia preceduta da corruzione: né alcuna nascita che non sia poi seguita da morte.
Ciascuna regione è soggetta e dipende da quella che le è superiore, però tutte agiscono di concerto. L’Unica Legge ha solo il potere d’annientare gli esseri, così come solo ha avuto la podestà di crearli dal niente. Le Leggi della Natura non permettono affatto che ciò che possiede il carattere di essere o di sostanza sia assoggettato all’annientamento. E questo ha fatto dire a Ermete, nel Pimandro, che niente muore in questo mondo, ma che tutto passa da uno stato di essere a un altro. Ogni misto è composto d’elementi, che infine si risolve in detti stessi elementi, attraverso una continua rotazione della Natura, come ha detto Lucrezio.
«Huic accedit uti quidque in sua corpora rursum dissolvat natura; neque ad nihilum interimat res»: «A questo addiviene, che ogni cosa, nei suoi componenti, nuovamente dissolva Natura; mai che una cosa si risolva nel nulla»).
Vi furono dunque, sin dal cominciamento due principi: l’uno luminoso molto affine della Natura spirituale; l’altro del tutto corporale e tenebroso. Il primo servì a costituire il principio della luce, del movimento e del calore; il secondo: come principio delle tenebre, di torpore e di freddo. Il primo: attivo e maschile; il secondo: passivo e femminile. Dal primo proviene il moto per la generazione nel nostro mondo elementare, e da parte del secondo procede l’alterazione, dalla quale la morte ha avuto origine.
Ogni movimento si effettua mediante rarefazione e condensazione. Il calore, effetto della luce sensibile o insensibile, è la causa della rarefazione e il freddo produce il restringimento o la condensazione. Tutte le generazioni, vegetazioni e propagazioni non si compiono se non attraverso questi due mezzi, poiché sono queste le prime due disposizioni dalle quali i corpi siano stati influenzati. La luce non si è diffusa che per la rarefazione: e la condensazione che produce la densità dei corpi ha semplicemente impedito il passaggio della luce e ha conservato le tenebre.
Quando Mosè dice che La Legge Unica creò il cielo e la terra sembra abbia voluto parlare dei due principi: il formale e il materiale o meglio l’attivo e il passivo. Parrebbe che non abbia inteso indicare col nome di Terra, quella massa arida che apparve dopo che le acque se ne separarono. La terra della quale parla Mosè è il principio materiale di tutto ciò che esiste e comprende il globo Terra/Acqua/Aereo. L’altra non ha preso propriamente il suo nome se non dalla sua aridità e per distinguerla dall’ammasso delle acque, «et vocavit Deus aridam Terram, congregationesque aquarum appellavit Maria»: «l’Essere appellò l’arido: Terra, e la riunione delle acque: Mari».
L’aria, l’acqua e la terra sono sempre una stessa materia in stati più o meno tenui e sottilizzati, secondo la maggiore o minore rarefazione della materia. L’aria, quale la più affine al principio della rarefazione è la più sottile, indi segue l’acqua, e poi la terra.
Dato che lo scopo che mi propongo, fornendo questi succinti principi di Fisica, si limita a far conoscere ciò che può istruire gli amatori della Filosofia Ermetica, mi astengo dall’entrare nei dettagli della formazione degli astri e dei loro moti.
DELLA LUCE E DEI SUOI EFFETTI
La luce dopo aver agito sulle parti della massa tenebrosa che le erano più vicine e d’averle rarefatte più o meno in rapporto della loro distanza raggiunse il centro onde animarla interamente, fecondarla e farle produrre tutto quanto l’Universo presenta ai nostri occhi. Piacque allora all’Essere di fissarne la naturale sorgente nel Sole, senza pertanto concentrarvela totalmente: sembra che abbia voluto stabilire il Sole quale unico dispensatore affinché la luce unica creata fosse comunicata da uno solo alle creature, quasi per ricordarci la sua prima origine.
Da detta sorgente luminosa, tutte le altre attingono la loro luce e lo scintillio che riflettono su noi dipende dalla compattezza che la loro materia produce alla nostra vista: lo stesso effetto di una massa sferica lucida o uno specchio sul quale cadano i raggi del Sole. Dobbiamo formarci un giudizio sui corpi celesti uguale a quello della Luna nella quale la sola vista ne rivela la solidità e la proprietà comune ai corpi terrestri, d’intercettare i raggi del Sole e di produrre l’ombra, ciò che si addice ai corpi opachi. Però non devesi concludere che gli Astri ed i Pianeti non siano corpi diafani, poiché le nubi, che altro non sono che vapori o acqua, fanno ugualmente ombra intercettando i raggi solari.
Alcuni Filosofi hanno chiamato il Sole anima del mondo e lo hanno supposto collocato nel mezzo dell’Universo, affinché come da un centro gli fosse più facile irradiare dappertutto le sue benefiche influenze. La Terra, prima che le avesse intercettate, era come una specie di passività inerte o come una femmina senza maschio; ma subito che ne fu pervasa produsse immantinente non dei semplici vegetali, bensì esseri animati e viventi e animali d’ogni sorta e specie.
Gli elementi, dunque, furono anche il frutto della luce e, avendo tutti uno stesso principio, come potrebbero essi, secondo l’opinione volgare, mantenere fra di loro antipatia e contrarietà? E’ dalla loro unione che sono formati tutti i corpi secondo le loro differenti specie e la loro diversità proviene dal più o meno di ciò che ciascun elemento fornisce per la composizione di ciascun misto.
La prima luce aveva gettate le semenze delle cose nelle matrici che erano proprie a ciascuna; quella del Sole le ha come fecondate e fatte germogliare. Ciascun individuo conserva nel suo interno una scintilla di questa luce la quale riduce le semenze dalla potenza in atto. Gli spiriti degli esseri viventi sono raggi di questa luce e soltanto l’anima dell’uomo è un raggio o come un’emanazione della luce increata. La Legge che è questa luce eterna, infinita, incomprensibile, poteva manifestarsi al mondo altrimenti che per mezzo della luce?
Quindi non è il caso di meravigliarci se L’Essere Universale ha infuso tante bellezze e virtù nella sua immagine che sì è formata da se stesso e nella quale ha stabilito il suo trono: «In sole posuit tabernaculum suum»: «Nel sole pose il suo tabernacolo».