Alcune leggi della forza e della bellezza
Sono i nostri pensieri che formano il nostro volto e gli danno la sua espressione particolare; sono i nostri pensieri che determinano i gesti, il portamento e l’aspetto di tutto il nostro corpo.
Le leggi della bellezza e della salute sono identiche. Tutte e due derivano dallo stato dell’anima o in altre parole dalla qualità dei pensieri che con più frequenza fluiscono da noi verso gli altri e dagli altri verso di noi.
Bruttezza di espressione ha sempre origine nella violazione di una legge; questo vale per i giovani e i vecchi, Ogni segno di decadenza di un corpo umano, ogni forma di debolezza, tutto ciò che ci fa diventare repellenti agli altri ha origine nello stato d’animo dominante in noi.
La natura ci ha fornito di ciò che si chiama istinto, ma vorrei chiamarlo «intuizione superiore», perché quando detestiamo il brutto e il deformato, che portano in sé le tracce della decadenza, usiamo sensi più sottili. E’ la spinta innata della natura umana di evitare l’imperfetto e di cercare la perfezione relativa.
La nostra «intuizione superiore» è nel giusto quando detesta rughe e infermità con la stessa ragione per cui detesta sudicio e sbrindellamento. Il corpo è il «vestito vivo» e allo stesso tempo lo strumento dello Spirito.
Da generazioni, e per secoli, ci fu impresso dall’infanzia, che è necessità inevitabile, legge eterna, legge dell’ordine della natura, che dopo una certa età il nostro corpo debba appassire, diventare privo di fascino e che l’intelletto con il passar degli anni debba esaurirsi. Ci fu detto che lo Spirito non ha potere di porre argine a ciò, né il potere di rigenerare il corpo per plasmarlo in uno stato sempre più vivo e nuovo con forze interiori.
Non è invece insito nell’inderogabile corso della natura il continuare a usare la diligenza invece dell’automobile o il portare le missive a mano invece che trasmetterle per telegrafo.
È presunzione di una stolida ignoranza voler esprimere giudizi su che cosa è legge di natura e cosa no.
È errore fatale guardare quel frammento di passato che conosciamo e prenderlo come guida infallibile per tutto ciò che potrà accadere nell’eternità.
Se il nostro pianeta fu, come ci insegna la geologia, una massa di forze impetuose, brutali e sfrenate e se molto grossolane erano le forme della vita vegetale, minerale e più tardi umana, non è questo il segno, la speranza, la dimostrazione di un raffinamento, un’evoluzione e un perfezionamento ulteriore a cui andiamo incontro, anzi nel quale camminiamo oggi, in questo, come in ogni momento?
E raffinamento non significa forse più potenza, come la forza del ferro è potenziata nell’acciaio? E non si dovrebbero dunque sviluppare queste forze le più sublimi, quasi sconosciute, dell’organismo più sottile e complesso che conosciamo, cioè quello dell’uomo?
Nel profondo del loro essere, in segreto, i mille «pensatori» di ogni paese si domandano: «Perché dobbiamo decadere in questo modo e perdere la parte migliore che dà valore alla vita proprio quando abbiamo conquistato l’esperienza e la saggezza che riteniamo più adatte alla vita?».
L’implorazione dei tanti è all’inizio sempre un bisbiglio. Preghiera, desiderio: la richiesta delle masse è sempre una implorazione segreta. Il primo non osa quasi parlarne con il vicino: teme il ridicolo! Ma questa implorazione viene dal profondo dell’esperienza: Ogni desiderio, pensato o espresso, rende più vicina la cosa desiderata, in rapporto all’intensità del desiderio e al numero crescente di coloro che desiderano. Questi dirigono le funzioni mentali verso determinati binari, per cui viene messa in moto quella forza silenziosa della Volontà, ancora oggi ignorata dalla sapienza scolastica, che dà forma alla cosa desiderata. In questo modo, a esempio, milioni di persone hanno desiderato mezzi di trasporto più veloci: ed ecco l’utilizzazione del vapore e dell’elettricità. Dopo, altre domande e altri desideri esigeranno risposta e soddisfazione, interrogativi interiori, desideri interiori.
In questi primi esperimenti, nel far diventare realtà desideri che ci paiono utopie, vi saranno errori e strade sbagliate, così come all’inizio delle nostre conquiste tecnologiche ci furono scontri ferroviari, le esplosioni di caldaie, ecc.
La nostra età è di due specie: l’età del nostro corpo e l’età della nostra spiritualità. Quest’ultima, attraverso infiniti corpi e forme di esistenze e durante milioni di anni, è maturata all’attuale grado di coscienza e molti corpi giovani ha consumato, come vestiti. Quello che noi chiamiamo «morte» è solo l’incapacità di mantenere intatto il vestito della corporeità, di rigenerare incessantemente il nostro corpo con elementi vitali. Più vecchi siamo, più matura è la spiritualità e quindi più capace di dominare il corpo, di trasformarlo secondo volontà. Questa forza spirituale la possiamo utilizzare per essere belli, sani, robusti e gradevoli. Possiamo incoscientemente, attraverso la stessa forza, renderci brutti, malati, deboli e repellenti, almeno per quanto riguarda questa esistenza perché alla fine, se l’evoluzione tende verso il raffinamento e la perfezione, tutto deve essere riassorbito in forme superiori.
Questa potenza magica sono i nostri pensieri! Essi sono, sebbene invisibili all’occhio, veri come il fiore, l’albero, il frutto.
I pensieri forgiano in continuazione i nostri muscoli secondo il ritmo del gesto che scaturisce dall’essenza del nostro carattere.
L’uomo deciso ha un passo diverso da quello incerto. Una persona indecisa ha il gesto e il portamento e il modo di parlare titubante che, prolungato nel tempo, porterà il suo corpo a diven-tare poco agile e deformato. Le membra sono come le lettere di una missiva che, stilata in un momento di fretta e di insicurezza, rivela una scrittura confusionaria e piena di errori, mentre uno stato d’animo sereno forma frasi belle e armoniche.
Ogni giorno diamo stile diverso a una fase della nostra esistenza, ci immedesimiamo in un carattere differente, immaginario, ma è la parte prevalente del nostro carattere a dare al corpo, specchio della nostra anima, la linea predominante.
Chi ha l’abitudine di lamentarsi in continuazione durante la maggior parte della vita, autocommiserandosi, si avvelena il sangue, si rovina i lineamenti del viso e l’incarnato della pelle, perché nel laboratorio invisibile dello spirito si crea un agente velenoso – il pensiero – che, messo in azione, ossia pensato, attira secondo una legge ineluttabile le forze aventi la sua stessa vibra-zione. Lasciarsi andare a uno stato d’animo irritato e passivo significa aprire la porta al fluido dei pensieri di tutta la gente che si trova in uno stato passivo e irritato, significa caricare il grande magnete, lo Spirito, con correnti nocive e distruttive e significa mettere in contatto l’accumulatore mentale con tutte le correnti della stessa specie!
Chi pensa «furto o assassinio» entra in questo modo in collegamento mentale con ogni ladro e ogni assassino su questa terra!
La dispepsia non proviene tanto dal nutrimento, quanto dallo stato d’animo nel quale consumiamo i nostri pasti. Il pane più sano, mangiato con tensione, agisce sul sangue come vele-no. Se tutti i familiari stanno seduti intorno al tavolo in silenzio, con una faccia di costrizione e ras-segnazione come se volessero dire: «Anche questo deve essere superato» e il padrone di casa rimugina i suoi affari oppure divora tutte le notizie dal giornale che riguardano i furti, gli assassini, gli omicidi, i suicidi e gli scandali delle ultime ventiquattro ore, mentre la regina della casa pensa tristemente ai problemi domestici, allora a questa tavola, in ogni singolo individuo, viene immesso, insieme al cibo, un elemento di afflizione, di dispiacere e di debolezza che col tempo porterà a una qualche forma di dispepsia e questo avverrà senza fallo.
L’espressione dominante di un viso è una smorfia? Anche i pensieri dietro quella fronte saranno smorfie. Se gli angoli di una bocca sono tirati verso il basso, anche i pensieri che formano e dominano questa bocca sono tristi e pendenti. Un viso è lo specchio più attendibile della spiri-tualità per cui nulla può eguagliare la prima impressione. Lo stato di fretta, derivante dalla cattiva abitudine di precorrere il corpo con i pensieri, incurva le spalle. Un programmatore che sa dominarsi non ha mai «fretta», egli concentra la sua volontà, la sua forza, il suo intelletto unica-mente sullo scopo per il quale in quel momento utilizza il suo corpo, strumento del suo spirito; in questo modo egli si abitua al controllo di sé, a essere armonico nelle proprie movenze e ciò perché il suo spirito ha completo possesso e dominio del suo corpo e non vaga lontano mille miglia in preoccupata e affannosa ricerca di cose lontane che dovranno avvenire tra ore o forse tra giorni.
Chi dà inizio a un affare, un’impresa, un’invenzione, crea qualche cosa da elementi invi-sibili che però sono reali come una macchina di legno o di ferro. Questa iniziativa attira a sé di nuovo delle forze invisibili per la sua realizzazione, forze che provocano la sua finale materializ-zazione nel mondo visibile.
Chi invece teme una disgrazia, chi vive nella paura di un qualche male, chi si attende sfortuna, costruisce un’idea, una forza silenziosa che, secondo la stessa legge di attrazione, raccoglie intorno a sé elementi dannosi e distruttivi. Il successo e l’insuccesso nascono dalla stessa legge che può essere asservita all’uno come all’altro, tale e quale come il braccio di un uomo può salvarlo dall’annegamento o può pugnalarlo.
Ogni volta che noi pensiamo costruiamo un qualche cosa da sostanze invisibili che attira forze per portarci aiuto o per nuocerci, secondo il carattere del pensiero che abbiamo emesso.
Chi è sicuro di invecchiare, chi porta nella sua mente un’immagine, una struttura di se stesso di vecchiaia e decadenza, sarà succube della vecchiaia. Chi riesce a crearsi un ritratto mentale di se stesso pieno di giovinezza, forza e salute, sul quale si concentra senza limiti e dietro il quale si protegge dalla legione degli uomini che gli diranno continuamente che invecchierà, che dovrà invecchiare, ebbene, chi riesce a identificarsi perfettamente con questo suo ritratto, rimarrà giovane.
Dobbiamo costruire instancabilmente l’ideale di noi stessi; in modo da poter attirare a noi elementi che collaborino a rafforzare e a far diventare realtà questo ritratto ideale.
Chi ama riflettere su cose potenti come montagne, alberi, fiumi attira elementi di questa forza.
Chi oggi costruisce se stesso in forza e bellezza e domani dubita o ricade nella vecchia mentalità delle masse, non distrugge quanto ha costruito nello spirito con lo spirito. L’opera si arresta soltanto e attende la prossima ora del rilancio.
Perseveranza nel pensiero della bellezza, della forza e della giovinezza è la pietra fonda-mentale per la loro realizzazione. Ciò che più frequentemente pensiamo, lo diverremo. Voi dite «No!». Ma, considerate: i malati non dicono «Io sono forte», ma «come mi sento male!». I dispeptici non dicono «Voglio avere uno stomaco sano», ma «non riesco più a digerire!». Infatti non ci riescono più per questo loro atteggiamento mentale. Noi curiamo le nostre malattie, non noi stessi, vogliamo che le nostre pene siano blandite e se ci prendiamo un raffreddore, subito la nostra tosse comincia incoscientemente a supplicare: «Oggi sono un oggetto di compassione, come faccio pena!». Per un trattamento corretto il paziente e tutto il suo ambiente dovrebbero munirsi del pensiero della salute e in questo modo combattere la malattia.
Le guarigioni sono altrettanto contagiosi come le malattie. Si può essere colti dalla salute come dal morbillo.
Cosa non darebbero gli adulti per avere le membra piene di primavera ed elasticità come quelle di un ragazzo di dodici anni! Membra che si arrampicano sugli alberi e che sanno correre, amano correre, perché non ne sanno fare a meno.
Se siffatte membra potessero essere fabbricate e vendute, si avrebbe una enorme richiesta da parte di tutti quei signori e quelle signore che scendono dalle loro carrozze gemendo come sacchi di farina.
Come è possibile che l’umanità si rassegni in questo modo e accetti già negli anni migliori la crescente pesantezza, flaccidità e rigidità del corpo? Sembrerebbe che facciamo un compro-messo con queste degradazioni, chiamandole dignità! Naturalmente un uomo, un padre, cittadino e votante, una colonna dello stato, della decrepitezza, non deve correre e saltare come un ragazzo … «è poco dignitoso», ma la verità è: «egli non ne è capace!».
Noi portiamo le nostre manchevolezze come ornamenti, zoppicando da una parte all’altra diciamo: «Così sia, perché non può essere diversamente!».
Aumentano sempre di più le possibilità della natura, nei mondi, dentro e intorno all’uomo. Esse arrivano con la stessa rapidità con la quale noi arriviamo a conoscere, utilizzare e dominare tutte queste forze nuove.