Seconda Lettera
Al fine di comprendere di cosa parla il principe Raimondo di Sangro si consiglia di leggere la prima lettera presente in archivio.
Dopo avervi minutamente nella mia prima lettera, scrittavi nella passata settimana, fattavi parola di tutti que' meravigliosi fenomeni che hanno accompagnata la stupenda mia scoperta e della prima sperienza, ch'io feci su quella materia accesa cioè d'averla, dopo tre mesi di continuo accendimento, trovata dello stesso stessissimo peso ch'essa avea fin dal principio: vengo ora in questa seconda lettera a descrivervi esattamente ad una ad una tutte quelle altre varie sperienze, che sono quelle appunto dalle quali ho solidamente dedotto quella gran conseguenza che in appresso vi renderò manifesta. La seconda sperienza, dunque, ch'io volli fare mi fu suggerita da quel gran dibattimento che facea la fiamma quando il tubetto non istava in sito perpendicolare: onde feci costruire una specie di lanternone di figura quadra. Questo era di cartone dell'altezza di più di due spanne e tutto aperto al di sotto e nella sommità. Tre lati del medesimo erano serrati collo stesso cartone: ma uno poi era chiuso con un vetro, affinché si fosse potuto osservare tutto quello che in esso accadeva.
Collocato quindi il detto lanternone sopra uno zoccoletto di circa mezzo palmo d'altezza, ci posi dentro il mio lume e vidi che la fiamma non fece movimento alcuno per lo spazio quasi d'un quarto d'ora. Serrai dopo questo tempo l'apertura della sommità con un altro cartone e tosto la fiamma cominciò in sì fatta maniera a dibattersi che s'io non riapriva la chiusa apertura il lume si sarebbe certamente spento; quantunque non combaciando bene l'orlo inferiore del cartone colla tavola ci si potea facilmente l'aria introdurre ed essere capace di far rimanere acceso qualunque lume d'altra specie di questo. Feci poi in una delle parti laterali del lanternone un buco, alto più della base della fiamma quattro o cinque dita e grosso da poterci entrare un dito. Tornai allora a serrare l'apertura superiore e osservai che la fiamma cominciò immediatamente a dibattersi, ma non già con violenza tale che avesse dato indizio di volersi spegnere; e che nel tempo istesso (cosa veramente strana) non rimase più verticale, ma inclinata verso il buco laterale, senza cessar mai il suo sensibilissimo dibattimento. Appena però fu riaperta da me la parte superiore del detto lanternone, ecco che tosto la fiamma riprese la sua direzione verticale e lasciò di più dibattersi.
Turai poscia il detto buco e ne feci un altro, che stava quasi a livello colla base della fiamma. Riserrai allora col cartone l'apertura di sopra e subito cominciò a vedersi un dibattimento molto più forte del passato della fiamma, la quale si torse in modo che facea presso a poco angolo retto col lucignolo; e la punta di essa si slungava a gran forza verso il buco, a guisa della fiamma di quelle lucerne delle quali si servono gli orefici per saldare; la qual fiamma viene soffiata da un cannelletto e forma una lingua con la punta acuta: però il dibattimento crebbe in pochi istanti a tal segno ch'io, per tema che il lume non si fosse spento, tornai di bel nuovo a riaprire la parte superiore; e così tosto la fiamma si raddrizzò e diventò tranquilla, siccome era prima. Serrai quindi il detto buco e ne feci un altro tre dita in circa più sotto la base della fiamma. Turai allora l'apertura di sopra; ma se non ero pronto a riaprirla si sarebbe tosto spenta la fiamma, siccome appunto accadde quando, senz'avere io fatto ancora alcun buco nel cartone, chiusi l'apertura superiore. Or non è questa una stravaganza ben singolare, che con tutta l'apertura del buco, per la quale già entra l'aria, questo lume vanga a spegnersi? E che ciò accada quando il buco è più basso della base della fiamma? Aprii successivamente più buchi nelle tre facce di cartone; anzi, per abbreviare il racconto, ci feci delle aperture così grandi che liberamente ci entrava per ciascuna di esse la mia mano; ma perché quei buchi eran sotto al livello della base della fiamma furono sempre inutili perché, serrandosi l'apertura di sopra, s'andava tosto la fiamma ad estinguere, s'io non accorrea subito a torre quel cartone che copriva l'apertura superiore. Dopo queste sperienze, le quali mi bastarono per quel giorno, levai il lume dal lanternone lasciandolo sullo zoccoletto, serrai lo stanzino e me ne andai.
Ritornato alcune ore dopo, cominciai a fare dei nuovi pensamenti sul mio fenomeno e mi risolsi a far costruire un cilindro di legno grosso, appunto, quanto una candela da tavolino e dell'altezza d'un palmo e mezzo de' nostri, vale a dire di due spanne in circa, per poterci incastrar sopra quel tubetto che conteneva il lume. Ci feci fare una noce nell'estremità inferiore affinché, per mezzo di essa, potesse il detto cilindro inclinarsi a mio piacimento a poco a poco per gradi, i quali erano segnati in un mezzo cerchio ch'era anch'esso uno degli ordigni fissi della detta macchina. Questa fu in tre giorni apprestata ed io, prima di ogni altro, la fermai diligentemente co' mastii sopra uno strumento di legno, fatto a foggia d'un alto sgabello; indi, perché si era fatto nel cilindro un incastro in cui doveva entrare il tubetto, ci situai dentro il mio lume, in guisa ch'esso stesse fermo; e, regolandomi col mezzo cerchio distribuito per gradi, feci sì che'l suddetto cilindro col lume in cima avesse fatto un angolo di 90 gradi colla superficie dello sgabello, la quale era perfettamente livellata col piano dell'orizzonte. Cominciai ad inclinare a poco a poco il cilindro verso la mia dritta; e tosto ch'esso fu inclinato non più d'un solo grado cominciò un picciolissimo dibattimento, appena sensibile, nella fiamma. Seguitai ad inclinarlo ad un altro grado e'l dibattimento si rendè più sensibile: in somma, siccom'io andava inclinando il cilindro rispetto al piano dello sgabello, così andava crescendo nella fiamma il dibattimento; ma questo non si rendè giammai così violento che non potesse più leggersi una scrittura vicino al lume, se non quando giunse a formarsi un angolo di 60 gradi, tirai innanzi a diminuir pian piano l'angolo e il dibattimento sempre più s'avanzava.
Finalmente, quando arrivai a far formare un angolo di 45 gradi, vidi che già la fiamma palpitava a tal segno che stava allora per allora per estinguersi. Io volli subito rialzare il cilindro, ma la fretta fe' sì ch'io l'avessi urtato senza alzarlo: e questo bastò per far che il lume fosse miseramente perito con tal mio indicibile rammarico che m'uscì dall'intimo del cuore un oh! per la giusta cagione che non era più in istato di fare delle altre sperienze che di giorno in giorno potea la mente suggerirmi; giacché estinto una volta questo lume resta la materia talmente inerte, secondo che nell'altra mia lettera vi dissi, che non può mai più riaccendersi, siccome per altro m'han renduto con evidenza persuaso tante replicate pruove da me vanamente fatte.
Mi direste che sempre sarebbe stato in mia balia di rifarle, giacché m'erano rimasti due altri orinaletti ne' quali era la stessa materia; ma non direste così se sapeste le mie idee e que' progetti ch'io ho formati e stabiliti per rispetto a questo meraviglioso lume. Io nell'entrante settimana ve ne farò distesamente parola: frattanto pensateci un poco, giacché a voi non dovrebbe riuscir difficile d'indovinargli. Vi sembra forse questo un misterio? Ma è ben giusto, che una lettera la quale contiene de' misteri finisca con un misterio.