Terza Lettera
Al fine di comprendere di cosa parla il principe Raimondo di Sangro si consiglia di leggere le precedenti lettere presenti in archivio.
Orsù, dopo otto giorni di riflessione che sono scorsi dalla ultima mia lettera fino all'arrivo di quest'altra avete indovinato le mie idee e que' progetti ch'io ho formati e stabiliti per rispetto al mio meraviglioso lume? E come no; se a voi è bastantemente nota la premurosissima cura ch'io mi sono spontaneamente addossata d'adornare nella migliore forma che per me si possa il Tempio Sepolcrale della mia casa? Da tutto quel che avete finora inteso per mezzo delle due antecedenti mie lettere, non potrete negare che questo mio lume sia un lume di lunghissima durata; giacché una picciolissima porzione di quella materia ond'è composto non venne a perdere né meno un atomo del primo suo peso dopo tre mesi di continuo accendimento. Or non è vero ch'io verrò a dare, al detto mio Tempio Sepolcrale, il più gran pregio che potrebbe mai altronde avere per qualunque raro ornamento col porre in esso due di questi lumi, i quali non in una sotterranea e chiusa tomba, ma pubblicamente esposti alla veduta di tutti, ardano senza non mai consumarsi? Io son sicuro che voi direte l'istesso.
Ma prima d'ogni altro, qual mai di grazia sarà quell'aggiunto che si dovrà dare a questo lume per distinguerlo dagli altri lumi? Io per me, sul fondamento delle replicatamente fattene sperienze, non so dargliene altro se non quello di eterno o sia perpetuo. Taluni han pur dato quest'aggiunta di eterno a certe lucerne, vedute in alcune antiche tombe che si sono casualmente trovate dopo vari secoli che si eran rimase sotterra; siccome appunto oltre alle tante lucerne di questa sorta, che si dice essere state scavate nel territorio di Viterbo, accadde in Roma nel tempo del papato di Paolo III in cui si trovò una tomba antica di ben mille e secent'anni e si vide in essa una lucerna il cui lume, appena esposto all'aria aperta, s'estinse. Ma, o che s'aderisca al savio e prudente parere del Ferrari e di tanti uomini dotti, i quali han trattate tutte queste relazioni come pure favole; o che si dica, come altri pensano, che queste lucerne erano prima estinte e che si sono poi improvvisamente riaccese coll'intromissione dell'aria fresca (intorno alla qual cosa io vi dirò a suo luogo e tempo ciò che sia da pensarsene più fondatamente) potrà in ognuno di questi casi francamente negarsi l'aggiunto di eterne a sì fatte lucerne degli antichi. Sia però comunque si voglia la cosa, sempre il loro lume verrebbe a sofferire molto svantaggio se si mettesse al paragone del mio; poiché questo si espone all'aria aperta senza alcun detrimento nella sua durata; e quello non si è dagli antichi saputo fidare se non all'aria chiusa; dimodoché, esposto poi all'aria aperta, si è tosto estinto.
È vero che il dottor Plott, siccome si legge nella Ciclopedia del signor Chambers, ha non solo mostrato d'essere d'opinione che le lucerne perpetue, o vogliam dire i lumi eterni, sieno cose praticabili; ma è passato inoltre a darne qualche idea: però, né alcuno de' suddetti lumi, da lui ideati, si è mai veduto in pubblico; né par ch'egli abbia fatto altro se non solamente proporre il lino asbestino, detto da noi altrimenti amianto, per lucignolo; e per olio la nafta, o sia il bitume liquido che nasce dentro le mine de' carboni in Pitkhfer nella provincia di Shrop, cui esso riconosce essere simile agli altri bitumi che ardono senza lucignoli: senza essersi curato, ciocché era pure necessario, di provare che serbi esso la virtù di non consumarsi. Per rispetto poi alle già dette lucerne degli antichi, le quali si sono potute riaccendere coll'intromissione dell'aria fresca all'aprir della tomba, giudica lo stesso Autore che si possano esse imitare col rinchiudere un poco di fosforo liquido nel recipiente d'una macchina pneumatica e col lasciare qualche porzione d'aria nello stesso recipiente. Io però né fo progetti, né propongo imitazioni; ma do la cosa per tanto certa e indubitabile che tra poco esporrò al pubblico non sol uno, ma ben due di questi lumi eterni o sieno perpetui.
Prima però di divisarvi e la situazione, che loro darò, e tutte quelle altre importanti circostanze che dovranno accompagnarli per essere il fatto in ogni tempo creduto vero e reale da qualunque critico e scettico cervello, bisogna che risponda ad una vostra giusta obiezione, di cui mi feci carico nel fine della mia ultima lettera che vi scrissi nella passata settimana su questo proposito, cioè d'avere io ben potuto fare sulla materia rimasa intatta ne' due orinaletti quelle altre esperienze che con mio sommo rammarico fui costretto a lasciar di fare dopo quel disgraziato spegnimento dell'altra accesa materia. Questa invero è una difficoltà che non può non venire tosto in mente a chicchessia; ed io non sarei stato sì buono a somministrare da me medesimo il motivo d'essermi opposto se fossi stato sicuro di riuscire felicemente di nuovo nella manipolazione di quella materia che produce un sì portentoso fenomeno. Si sa bene dai pratici dell'Arte Chimica che tutte quelle operazioni, le quali dipendono da certi gradi di calore sia di sole sia di fuoco, se non sono fatte ne dovuto grado non riescono sempre eguali. Or io, quando mandai ad una delle nostre vetriere quel genere di roba onde è stata poi la meravigliosa materia prodotta perché vi si cuocesse, siccome allora tutt'altro pensava che a formare un lume eterno, così non mi presi la cura di sapere né quante ore di fuoco, né qual grado di calore essa ebbe: so che vi stette molti giorni, ma non posso affatto ricordarmi del loro numero.
Sarebbe perciò mai cosa prudente di consumare con altre sperienze quella poca materia che m'è rimasa ne' due orinaletti, giacché una volta estinta non si riaccende mai più, e di rendermi poi inabile a poter produrre al pubblico un'irrefragabile testimonianza della verità delle mie asserzioni? Anzi, come potrei ora francamente affermare quel che affermo senza la taccia di millantatore se non avessi in mia mano la sicurissima maniera di dimostrarlo? Ma mi si potrebbe dire ch'io potrei replicarne l'operazione. Sì ch'io a suo tempo infallibilmente tenterò di replicarla; ma se poi non mi riuscisse non è vero che per una soverchia inconsiderazione dovrei portarmi fino al sepolcro l'acerbissimo dolore di non aver potuto render pubblica una mia meravigliosa scoperta? Sciolta la sopraddotta difficoltà, rimane che brievemente vi descriva il luogo dove saranno da me situati a vista di tutti i suddetti due lumi.
Ergendosi nel mio Tempio Sepolcrale i mausolei de' miei Antenati e que' delle loro mogli, i quali ne formeranno una genealogia dalla fondazione del detto Tempio fino al dì d'oggi e non rimanendo sito alcuno pe' miei Discendenti, i quali potrebbero togliere dal loro luogo i Mausolei degli Antichi per sostituirvi i propri, perciò m'è paruto bene d'ovviare a sì fatto inconveniente coll'innalzare un altro Tempietto, di cui una metà sia sopra e l'altra sotto il livello del Tempio grande e a cui si passi dalla Sagrestia. Questo Tempietto sarà di figura ovale, mostrerà di essere scavato in una rocca e prenderà bastantissimo lume da una Cupola, nella quale saranno aperte alcune finestre. Sarà esso diviso in otto arcate con altrettanti pilastri: dentro a questi archi, e propriamente in alcune cavità fatte a bella posta come se fossero aperte nel monte, saranno collocate le casse di marmo che dovranno contenere i cadaveri. Queste casse saranno situate con un certo studiato disordine, tendente però ad allettare piuttosto che ad offender la vista. Or in mezzo di questo Tempietto appunto, ove sarà collocata la statua di marmo al naturale di nostro Signore Gesù Cristo morto, involta in un velo trasparente pur dello stesso marmo ma fatto con tal perizia che arriva ad ingannare gli occhi de' più accurati osservatori e rende celebre al mondo il giovine nostro Napolitano Signor Giuseppe Sammartino, uno de' miei scultori di cui essa è opera, verranno ad essere situati i detti due lumi eterni, uno al capo e l'altro a' piedi della suddetta Statua; e saranno situati sopra due candelabri di marmo di proporzionata altezza, facendo la comparsa di due ceri.
I motivi che a far questo mi spingono sono due: il primo, affinché non abbiano i miei lumi l'antico nome di lucerne, ma quello di candele; il secondo, affinché si lascino in libertà gli scettici nelle materie fisiche di poterla passare da banda a banda, dove meglio lor piacerà, con una lesina infocata e di rendersi interamente persuasi della schiettezza dell'affare e dell'esclusione di qualunque nascosto inganno. Io, che sono uno di questi scettici (servatis servantis), prevedo negli altri tutto quel che potrei io medesimo immaginare se toccasse a me d'esaminare questa cosa per indagarne la verità. Ma non vorrei però che appena udita questa notizia si mettesse taluno in viaggio per assicurarsi co' propri occhi della sincerità delle mie asserzioni; poiché la fabbrica del mentovato Tempietto è ancora sul principio, né può terminarsi prima della fine del corrente anno 1753. Per allora saranno in esso collocati, nella forma che v'ho divisato, le suddette due eterne candele e sarete voi pienamente avvertito della funzione che si farà alla quale dovranno intervenire molti Notai e tutti i Cattedratici della nostra Reale Università, affinché servano i primi per rogarne un atto pubblico e i secondi per essere testimoni, ad perpetuam rei memoriam. E allora sì che potrà venire a questa Capitale chi voglia per farci tutte quelle sperienze ch'io ho fatto, purché le faccia però fino a segno da non mettermi in risico di perdere il gran piacere d'aver presso di me sì fatto portento. Niuno certamente rimarrà deluso della sua aspettazione: e perché di buon animo me ne creda, fin d'adesso m'obbligo a pagargli le spese del viaggio, ancorché ci venisse espressamente dall'America, laddove qui giunto non trovi a puntino vero quant'io v'attesto. Poss'io dar più sicuro indizio della certezza del fatto per persuadere altrui ch'io non canzono e che non mi sono adottata l'idea dal Collegio Petroniano? Potrete dirmi: ma perché non render pubblico quest'arcano, affinché ogni uomo dotto possa farne l'esperienza in propria casa con tutto suo agio?
Vi rispondo in primo luogo che s'io ciò facessi non sarebbe esso più raro e non avrebbe la sola mia chiesa questa singolare prerogativa; ed in secondo luogo, che potrebbe vedersi saltar fuori qualche Scrittore d'una certa nazione il quale attestasse d'aver trovato ne' registri della Camera de' Conti ec. questo segreto; siccom'io ho costantemente trovato scritto nell'invenzion della bussola, della polvere e d'altro. Ma fintantoché resterà segreta la manipolazione ond'a sì fatta meraviglia si perviene, non potrà chicchessia dire d'averne trovata la ricetta ne' suoi antichi registri; e se vorrà dirlo, non gli sarà certamente possibile di venire alla pratica. Io son tanto certo di questo che non ritengo manifestarvi la più solenne particolarità della operazione, la quale vi somministrerà per altro l'occasione di molto moltissimo meditare su di essa e v'ispirerà forse quello stesso desiderio cha ha ispirato a me. Questa mia lettera vi si renderebbe troppo tediosa se più oltre la stendessi. Permettetemi dunque che rifinisca di più rintronarvi il capo per ora e che mi riserbi di dirvi il resto nella lettera della ventura settimana, che forse sarà l'ultima che vi scriverò su questa materia.