Settima Lettera
Al fine di comprendere di cosa parla il principe Raimondo di Sangro si consiglia di leggere le precedenti lettere presenti in archivio.
Sono a voi debitore per quel che vi promisi colla lettera della passata settimana del rimanente delle obiezioni della nota Dama e delle mie corrispondenti risposte. Or eccovelo.
Dicea essa, in quarto luogo, che non sapea intendere come mai il fuoco elementare, il quale è già tutto dell'istessa natura, produca, ridotto in fiamma, nella macchina elettrica effetti totalmente diversi da que' che nella materia del mio lume produce; giacché in quella non iscotta la mano ed è debolissimo alla vista; e in questa fa tutto ciò che fa il fuoco nostrale, siccome io scrissi nella prima mia lettera: e quindi conchiudeva di non rimanere interamente capacitata del fondamento del mio sistema. A questa nuova obiezione fu da me nella seguente guisa risposto.
Non ci ha dubbio, io le dissi, che la fiamma eccitata dalla macchina elettrica viene prodotta dal fuoco istesso elementare dal quale la fiamma del mio lume, pochi istanti dopo il primo suo accendimento procede, però nella macchina elettrica non è poi da farsi un rigoroso paragone colla materia del mio lume: la sperienza fa vederci, è vero, che ambedue attraggono il fuoco elementare, ma essendo esse tra loro diversissime di natura, diversissime bisogna che sieno le loro forze attrattive e parimenti diversissimi i loro effetti.
Se tra le calamite ci ha quella che attrae più e quella che attrae meno, e maggiormente se una è orientale, occidentale l'altra; se tra le macchine idrauliche variamente composte si vede che una eseguisce con maggiore e l'altra con minore efficacia lo stesso ufficio; perché poi volete la stessissima virtù tra la macchina elettrica e la materia del mio lume? E se non possono pretendersi eguali le loro virtù, come mai dovranno pretendersi eguali i loro effetti? Che ha che fare, quindi le soggiunsi, la fiamma che nasce dal semplice rotamento d'un globo, che l'aria agita e muove, colla fiamma del mio lume, la quale appoggia sul fermo e stabile fondamento d'una materia che non esce dalla qualità di tutte le altre materie accendibili, se ben poi essa per le pochissime particelle atte ad accendersi, che in sé contiene, altro non somministri alla fiamma se non solo il primo principio dell'esser suo?
Or se con tutto ciò la fiamma della macchina elettrica arriva non dico ad iscottare, ma ad essere molesta a chi le avvicina la mano, rendendogli l'incomodo tanto più sensibile quanto il globo di vetro vien più riscaldato dallo stropicciamento delle mani ed è di maggior diametro; e se in oltre è giunta, per le ultime sperienze fatte, a passar da banda a banda un cuoio nella guisa appunto che fanno le migliarole tirate da un archibusso; qual meraviglia è mai che la fiamma del mio lume, la quale ha il suo principio da un'altra vera fiamma allorché la prima volta si dà fuoco al lucignolo, produce quegli stessi effetti che le altre fiamme del fuoco nostrale producono?
Questa fu l'intera risposta ch'io su questo proposito diedi alla Dama; ma ora, nell'atto dell'esporvela, ho pensato ad una nuova gagliardissima difficoltà, che voi mi potreste opporre in questo luogo, e che nasce così dallo stabilito sistema che da questa e dalle altre antecedenti mie difese medesime. Eccola.
Come va, mi direte, che la fiamma del mio lume attragga continuamente il fuoco elementare s'io ho asserito che essa, pochi momenti dopo il suo primo accendimento, consuma tutte le poche sue particelle accendibili che nella porzione del color sanguigno, in cui tutta la virtù attrattiva consiste, unicamente si contengono? Io dissi, è vero, sul fondamento d'una mia ragionevole congettura che forse la virtù attrattiva del mio lume consista in quella porzione di color sanguigno che nella sua materia si presenta e s'osserva; ma non dee da ciò inferirsi che essa si consumi tutta al consumarsi delle sue poche particelle accendibili; può essere che ne rimanga una qualche porzione a guisa di campomorto, cioè spogliata affatto di quelle particelle accendibili che prima contenea, ma che essa fra tanto conservi la medesima virtù attrattiva che innanzi avea.
E se poi anch'essa si consumasse tutta e per conseguenza non si vedesse più, siccome è da sospettarsi per l'osservazione da me fatta sull'altra materia già renduta inerte, nella quale non si è mai osservato finora verun segno anche minimo di color sanguigno, della qual cosa potremo interamente assicurarvi allorché esporrò al pubblico i miei lumi, per qual ragione non si può credere che prima di consumarsi comunichi alla materia del fuoco elementare, che in suo luogo succede, quella stessa virtù attrattiva che essa possedea?
Chi è che non sappia che un somigliante fenomeno ordinariamente s'osserva nella calamita, la quale col solo contatto suol tosto comunicare a qualunque ferro la sua medesima virtù d'attrarre? Non si sono ultimamente veduti qui in Napoli per mezzo del Signor Young effetti stupendissimi di questa natura in una calamita artificiale? Io non so se anche voi li avete veduti, o letti, o se gli avete almeno intesi narrare: pure, comunque sia la cosa, eccovene tra tanti che potrei addurvene uno il quale la mia ipotesi a meraviglia conferma.
Dopo avere il detto inglese comunicata a suo modo la virtù attrattiva a una lamina di ferro, appena toccava con essa una pallottola altresì di ferro della grossezza d'un cece e forse più questa immantinente se lo attaccava e acquistando anch'esso la virtù attrattiva della lamina la comunicava tosto tosto a un'altra consimile pallotta, e questa a un'altra fino a farsene una filza di ben quindici e più, che unite successivamente insieme stavano prendenti in aria dalla lamina calamitata che l'inglese tenea in mano, facendo di esse mostra agli astanti e dimenandole a suo talento.
Or se queste pallotte, senz'esser prima calamitate, acquistavano una dopo l'altra la medesima virtù attrattiva che la lamina di ferro avea per immediato contatto semplicemente comunicato alla prima pallotta, quale stravaganza ne risulta dall'affermare che la porzione di color sanguigno, la quale nella materia del mio lume s'osserva, comunichi nell'atto del consumarsi la stessa sua virtù d'attrarre al primo fuoco elementare, che prende le sue veci, e questo poi all'altro che succede e così a mano a mano per tutto quel lunghissimo tratto di tempo che durerà acceso il lucignolo?
Io almeno mi persuado di non avere avanzato un'ipotesi puramente capricciosa; ma passiamo alla quinta difficoltà della Dama. Ragionava essa così: la fiamma del suddetto lume, laddove si fa a grado a grado inclinare nell'aria aperta per mezzo d'un cilindro mobile, su cui si colloca per tal fine il tubetto, si dibatte tanto più quanto più cresce la sua inclinazione e poi all'angolo di 45 gradi s'estingue; né ciò le succede per altro, secondo che io dissi nel mio sistema, se non per la continua pressione che le fa la colonna dell'aria superiore la quale, trovandola debole di sua natura perché alimentata dal fuoco elementare, non lascia alcun luogo al suo risorgimento e finalmente l'opprime.
Or se quest'ipotesi dee ammettersi, com'è poi che non si adatti all'esperienza della medesima fiamma chiusa per ogni parte dentro il lanternone e piegata verso que' buco che in un de' lati se le apre giacché, appena tolto dalla parte superiore del lanternone il coperchio, la fiamma niuna offesa ricevendo dall'aria, che tosto ci entra, si rimette vigorosamente nel sito perpendicolare di prima?
Le risposte a quest'obiezioni furono due e brevissime: la prima, che'l suddetto inclinamento della fiamma nel lanternone, provenendo da un'azione naturale e, per dir così, volontaria della fiamma medesima, la quale va con esso a procacciarsi il suo alimento, non è da paragonarsi affatto con quell'altro che essa dalla colonna dell'aria superiore violentemente riceve; e la seconda, che togliendosi al lanternone il coperchio entra, è vero, l'aria, ma venendo essa respinta in su per un momento almeno dallo stesso coperchio, nell'atto di levarsi, rimane alla fiamma tempo bastante da rimettersi istantaneamente in piede per opporsi col suo cuneo alla susseguente pressione di quella.
Ecco la sesta obiezione.
Se i sali che sono ne' sepolcri, in veder l'aria all'aprirsi delle antiche tombe, si accendono, siccome più volte si è osservato, e pure essi non sono ivi bastantemente purificati, secondo che io dissi nella quarta mia lettera per far vedere che quel lume dee dirsi piuttosto un fuoco volatile che un vero e stabile fuoco, perché mai, senza l'accostamento di una fiamma, non s'accende la materia del mio lume, i cui sali sono poi in verità, anche per mia propria confessione, talmente depurati e sceveri da tutte quelle particelle inerti dalle quali erano prima circondati e che facean contrasto e mettevan freno alla loro somma attività, che sono perciò diventati atti non solo a produrre una vera e stabile fiamma, ma eziandio una perpetua?
Lo scioglimento di questa difficoltà mi fu facilissimo; poiché io non per altro mi servii della prima ragione pe' sali de' cadaveri ne' sepolcri se non a solo fine di provare che'l fuoco che da loro proviene non è un vero e stabile fuoco; e non per altro mi valsi della seconda ragione pe' sali contenuti nella materia del mio lume se non unicamente per far vedere che la fiamma da loro prodotta è una vera e stabile fiamma; ma poi tra i sali de' cadaveri de' sepolcri e i sali della materia del mio lume ci ha un'altra notabile differenza, ed è che tra quei se ne trova una porzione la quale è di sua natura puramente volatile e spiritosa, che è quella appunto che prende momentaneo fuoco al primo veder dell'aria, laddove poi questi sono tutti fissi pe' vari cimenti di fuoco a' quali la materia del mio lume è stata esposta e che han da essa fatta volare la parte più sottile e più spiritosa: onde non è maraviglia che la materia del mio lume abbia bisogno dell'accostamento d'una fiamma per accendersi, allorché i sali de' sepolcri, all'entrar dell'aria nuova, s'accendono tosto da se medesimi.
Ma venghiamo alla settima ed ultima difficoltà. Come mai addiviene, m'oppose finalmente la virtuosa Dama, che nella materia del mio lume si dia consumazione di parti e non si dia intanto diminuzione alcuna di peso; giacché io dissi nel mio sistema che essa non soffre il minimo scemamento nella sua dose e che poi si consumino tutte le sue particelle accendibili nel primo suo accendimento? Io non credei, le risposi, d'essermi contraddetto nel dir questo che dissi poiché, avendo stabilito d'esser pochissime le particelle accendibili che si consumano, vidi bene che esse non poteano arrivare mai per la loro piccolissima quantità ad esser soggette a qualunque minimo calcolo. Di fatti, chi mai, se non dopo lungo tempo, si è potuto accorgere di qualche tenue scemamento nel peso d'un grano di muschio? E pure esso non lascia mandar fuori continuamente delle parti sottilissime di sua sustanza; laddove la materia del mio lume consumate che sono quelle sue poche particelle accendibili di niuna altra parte anche minima si priva per alimentare il suo lume. In oltre, consistendo le suddette particelle accendibili, per quel che ho stabilito, nella porzione del color sanguigno, che nella materia del mio lume si osserva, e questa porzione di color sanguigno non comparendo se non in alcuni luoghi della superficie della materia tutta, bisognerà dire che se bene la suddetta porzione del color sanguigno interamente si consumasse dopo il primo accendimento della materia, il suo peso non potrà ascendere né meno alla sesta parte di un grano; giacché è certo che basterebbe un solo grano di carminio a tingerla tutta quanta. Ma che forse poi, le soggiunsi, non mi rimane altra pruova più chiara della già detta per far vedere che la materia del mio lume non si scemi affatto nella sua dose, avvegnaché si consumino tutte le sue particelle accendibili?
È già noto a' veri filosofi, e'l dottissimo Ermanno Boerhave l'ha dimostrato, essere tutta la nostra atmosfera così piena d'eterogenee particelle, che di continuo esalano da' corpi terrestri, che essa, a giusta ragione, può dirsi un vero caos. Or perché non è da credersi che l'insensibile scemamento della materia del mio lume nella sua dose per la perdita delle sue poche particelle accendibili venga compensato da sì fatte particelle, che si trovano sparse nell'aria? Il dottissimo Padre Beraud dell'illustre Compagnia di Gesù, professore di Matematica nel Collegio di Lione e membro dell'Accademia delle Belle Arti della medesima città, in una sua erudita dissertazione sull'aumento de' pesi che certe materie acquistano nella loro calcinazione ha dimostrato che quest'aumento provenga da sì fatte eterogenee particelle, che sono dissipate per l'aria; e tra le altre cose, parlando dell'accrescimento de' metalli dopo che si calcinano, sostiene che le suddette particelle vengono pel loro proprio peso a piombar sopra i metalli liquefatti per mezzo dell'azione del fuoco, il quale colla sua fiamma apre loro la strada dissipando le parti grossolane dell'aria, che per la loro maggiore gravità specifica sarebbero altrimenti state d'impedimento alla caduta di quelle.
Queste e le altre sue ipotesi sulla stessa materia se non fossero ben fondate non avrebbe esso certamente conseguito quel premio che già conseguì per giudicio dell'Accademia Reale delle Belle Lettere, delle Scienze, e delle Arti della città di Bordeaux.
Ciò posto per vero e per incontrastabile, rimane ora alcun dubbio ad asserire che la materia del mio lume riceva il compenso del picciolissimo peso che perde da tanti corpicciuoli che nuotano nell'aria; e specialmente da' vitrosi e da' sulfurei de' quali per cagione delle solfatare e del monte Vesuvio tanto abbonda questo nostro Paese?
La sua fiamma è quella che spiana loro la strada col dissipare le parti più grosse dell'aria, ed esse in tanto scendono per la loro naturale gravità in tale copia che basti a somministrare alla materia quel detrimento che ha essa sofferto nella sua dose sul primo suo accendersi; e quindi avviticchiate per così dire intorno al lucignolo rinforzano inoltre la fiamma e producono quel fumo che non può produrre il solo fuoco elementare il quale, perché poi di sua natura leggerissimo, viene a forza tirato giù dalla virtù attrattiva di quella già tante volte riferita porzione di color sanguigno che nella materia si vede. Io sono tanto sicuro di questo che passo ad asserire che la materia del mio lume non solo riceve da sì fatte particelle ogni compenso, ma che anzi s'accresce per mezzo di esse nel peso: e ricavo ciò dal ricordarmi bene che allora, quando pesai la materia già renduta inerte di quel secondo orinaletto sulla quale avea fatte le mie sperienze, vidi che la bilancia sì fattivamente traboccava, che la materia dava a divedere d'esser cresciuta forse più d'un grano nel peso, che è quell'appunto ch'io prima d'adesso, che m'è convenuto dirlo, non ho mai palesato a voi per non dare al mio ritrovamento anche per questo verso una sembianza che avesse potuto avere dell'inverosimile a prima vista. Qui finiscono le opposizioni della riferita Dama e le mie risposte.
Prima però ch'io termini questa lettera fa uopo venire a una mia prevenzione per rispetto a taluno il quale nel leggerla in un coll'altra precedente borbottasse ch'io avrei usato un miglior metodo se certe cose così dell'una che dell'altra le avessi inserite nel mio sistema.
Ogni ciò vi si dicesse, rispondete ch'io non per altro in vece di scrivere una dissertazione ho scritto varie lettere, se non perché ho voluto lasciarmi aperto e libero il campo d'andar soggiungendo a poco a poco, senza però punto contraddirmi in cosa alcuna, tutte quelle nuove riflessioni che mi fossero venute in mente e che tutte non mi sono potute a un tempo venire. Vi dico in oltre che se talun altro vi si facesse vedere niente appagato del mio sistema, col quale ho stabilito che la materia del mio lume attragga il fuoco elementare che si trova sparso nella nostra atmosfera e che di esso si serva per un perenne alimento della sua fiamma, lasciate che parli a suo modo, perché un giorno gli dispiacerà d'aver così parlato; e sarà allora quando io mi determinerò di manifestarvi una particolarità che metterà in un'evidente dimostrazione questo fondamento del mio sistema e che sempre finora ho taciuto pel fine politico di dovermene servire a suo tempo come d'un colpo di riserba, siccome ordinariamente suol dirsi.
Frattanto voi proseguite ad amarmi e a compatirmi altresì per quest'abuso che fo della vostra ammirabile pazienza.