Il pensiero libero
Avete mai fatto caso che per l’uomo comune non esiste pensiero che non provenga dall’esterno del suo essere? Si vede un evento, si legge un articolo, si sente parlare qualcuno, si prova una sensazione: tutto ciò genera pensieri. O meglio, il pensiero risulta essere la rielaborazione di quanto percepito dai sensi, alla luce delle opinioni e del modo di ragionare personali e, quindi, si può dire che come i sensi influenzano il pensiero, così il pensiero influenza i sensi. Sì, perché è la ragione che rielabora la sensazione, facendone un pensiero; e poiché la ragione è parte della personalità, una persona è portata a rielaborare quella sensazione in modo diverso da come la rielabora un’altra persona. Se consideriamo che alla nascita tutti gli uomini sono uguali, che il loro organismo segue una legge sempre uguale per tutti, si deve ritenere che ciò che differenzia e fa sentire un uomo diverso da un altro è la personalità; personalità che è frutto in parte dell’ereditarietà e in parte dell’ambiente, dell’istruzione e delle credenze che vengono inculcate nell’essere nel corso degli anni della sua fase di crescita. E poiché la ragione deriva dalla personalità, ciascuno la usa secondo i propri canoni personali. Ecco perché si dice che chi vuole entrare nel tempio, chi vuole perseguire l’iniziazione, deve uccidere o almeno lasciare fuori l’umana ragione sofistica e analitica, cioè deve ridiventare bambino. Una volta compreso che è la ragione che rielabora le sensazioni facendone dei pensieri, si tratta di sterilizzare le sensazioni e come conseguenza ciò che avviene al di fuori dell’essere non dovrebbe più avere effetto sulla sua sfera intima: se ciò si riesce a realizzare, il mondo circostante viene visto in una luce molto diversa, si comincia a vedere ciò che sta dietro le apparenze, il pensiero, non più influenzato, non segue la caotica sequela di sensazioni e impressioni e le cose, viste con neutralità, assumono la loro vera e reale dimensione: si abbandona l’analisi per rivolgersi alla sintesi.
Può aiutare a realizzare questo stato il silenzio iniziatico. Non il silenzio inteso come assenza di voci o di rumore, bensì il silenzio inteso come separazione dal baccano della vita, per cui si può essere in silenzio anche nel centro di una città che pulsa di vita, di voci e di movimento, si può sentire il silenzio nel mezzo di una manifestazione politica o in uno stadio pieno di folla urlante. Questo tipo di silenzio è menzionato in tutte le biografie, vere o presunte tali, degli antichi iniziati. A un punto avanzato del loro percorso iniziatico, essi si allontanano dalla folla e si recano nel deserto, in una caverna, su una montagna, in una folta foresta: tutti simboli che vogliono indicare appunto il silenzio iniziatico, indispensabile per riuscire a percepire una differente voce, che parla dal di dentro: la voce dell’Io occulto; è questa una delle ultime fasi della preparazione dell’iniziato prima di calarsi nella missione che è venuto a svolgere in questo mondo. Ciò induce a ritenere che mentre all’inizio della propria strada è necessario, forse indispensabile, il rapporto con l’esterno che porta idee, pensieri e immagini della realtà apparente, una volta avanzati nel percorso diventa condizione indispensabile per la propria realizzazione questo isolamento, questo silenzio che separa dal mondo esterno e consente di prendere contatto col mondo interno e di cominciare a percepire la voce del proprio io, della legge, dell’intelligenza. Difatti, se si riesce a liberare il pensiero dalle impressioni e dalle sensazioni, se cioè si abolisce la personalità e con essa il predominio della ragione spesso inficiata dalle passioni e dai sentimenti, è possibile mettersi in contatto con quella scintilla di intelligenza, o legge, universale che si ritiene essere in noi. Una volta stabilito il contatto, che risulta dapprima episodico e incerto, è possibile col tempo iniziare un discorso con questa entità occulta, la quale a volte risponderà e a volte no; bisogna tener duro, perché forse questo dialogo può essere stabilito in via continuativa e questo nuovo essere può diventare l’amico, il suggeritore, il confessore, il maestro e il protettore dell’essere palese. Sarà bene, però, tenere presente che tale dialogo non può seguire i consueti canali cui si è abituati nei rapporti tra persone: esso si svilupperà per lampi di luce, per intuizioni, suggerimenti e azioni che andranno di volta in volta interpretati, sempre bevendo acqua per non ubriacarsi.
Realizzare la liberazione del pensiero, che tuttavia deve risultare in perfetto accordo col proprio essere complessivo, è impresa titanica, specialmente per chi vive nel mondo e specialmente oggigiorno, ma è certo che esiste un metodo che, se opportunamente e coscientemente praticato, può avvicinare l’essere a tale realizzazione; si tratta di un metodo segreto, di cui sono depositarie alcune associazioni iniziatiche e di cui sono certamente a conoscenza anche le alte gerarchie ecclesiastiche, ma ritengo che esse siano restie a praticarlo perché pervase dal misticismo e dall’impegno di dimostrare la superiorità del loro dio sugli altri, non considerando che comunque lo si chiami, Allah, Geova o Dio, si tratta sempre della Prima Virtù, una e unica per definizione, la cui emanazione, l’Intelligenza, pervade l’universo dalle stelle, ai pianeti, alle particelle subatomiche e cioè si trova in tutte le cose esistenti, pur se in misura limitata allo svolgimento della loro funzione, e solo nell’uomo si trova a un grado tale che può essere separata dall’involucro materiale che la avviluppa per mostrare tutta la sua potenza e tutte le sue meraviglie.
Il lettore perspicace e curioso potrebbe chiedere: esiste una ricetta che fedelmente seguita può condurre alla realizzazione del pensiero libero? La risposta è: non credo, almeno per il momento non credo che esista una ricetta uguale per tutti; ciascuno dovrà trovarla in se stesso, con l’aiuto del suo maestro interiore. Ma poi, diciamocelo, avere individuato l’obiettivo non è già un gran passo in avanti?
Hahasiah