Chi e' il maestro?
Si avvicinò al vecchio amico con aria quasi di sfida. Era una sera di febbraio ed il freddo ancora pungeva. La sua voce era quasi un bisbiglio, in mezzo alla strada, ma non riusciva più a tener dentro quelle parole:
“Perché non vuoi insegnarmi i segreti che sai? Mi sembra molto egoista da parte tua.”
Qualcosa nel suo vecchio amico trasalì, a quel mormorio, e in un istante il ricordo del lungo vagare per trovare la giusta via lo travolse.
“Amico mio, ci conosciamo ormai da tempo… ancora non hai capito? Se davvero vi fosse un solo mistero, una ricetta per il tuo ascenso, credi che sarei così invidioso da negartelo?”
Il vecchio amico sospirò e comprese che il giovane ancora non aveva intuito dove cercare. E per la prima volta, si sentì intimamente vicino a coloro che nel corso dei secoli scrissero lunghe pagine intrise di simboli, additati come uomini che avevano ricevuto il segreto e lo custodivano gelosamente per preservare il loro potere… anche lui, anni addietro, aveva creduto che quegli uomini fossero invidiosi del loro sapere. Solo più tardi aveva compreso che non v’era altro modo per indicare la Via, ma questo lo intuì soltanto quando quella Via era divenuta la sua dimora.
La nebbia calava e il fratello anziano tornava alla sua casa, per la prima volta dopo molto tempo scosso nell’intimo dalla compassione per quello che gli pareva un giovane se stesso alla ricerca della Verità. Il sonno non sarebbe venuto, quella notte… il cuore era solo, perché aveva dato ciò che poteva e non era stato compreso. Solo col lume della sua intelligenza egli sedette, coi raggi di luna che cadevano obliqui sul tavolo, e armatosi di chiarezza scrisse queste righe:
“Amico mio,
io sono stato te in un tempo che ora, a vederlo da lontano, mi pare la vita di un altro. Comprendo cosa voglia dire cercare senza trovare, eppure non ho misteri che tu possa accogliere. La mia vita è stata una lunga ricerca del Segreto e molte volte ho creduto che altri me ne negassero la conoscenza. Oggi non cadrei più in un simile errore, perché io stesso sono divenuto colui che dà e colui che al contempo pare che neghi: ho compreso che un mistero può essere svelato, ma non può essere dato. Ricordi il tempo in cui, senza capire, facevi ciò che t’indicavo? Credevi di vedere in me la guida perfetta ed io te lo lasciai credere, perché a quel tempo era giusto così, ma non ti permisi mai di chiamarmi guida o Maestro, perché avresti capito da solo che non lo ero. Tu pensavi lo facessi per umiltà, ma non era così. Io davvero sapevo di non poter essere il “Maestro” di nessuno.
Ti alzavi presto, la mattina, e andavi nel bosco a compiere un’azione senza significato apparente. Ogni giorno ti svegliavi e quello doveva essere il tuo primo pensiero. Nel frattempo ti accorgesti anche che io non ero un Maestro, ma un uomo, e iniziasti a sospettare della mia saggezza e della mia buona fede. Mi mettesti alla prova, credendo che dovessi essere un semidio per indicarti la strada. Alzavi la cresta, diffidente, ma io ti capivo perché ero stato te molto tempo prima.
Dopo un lungo tempo passato a compiere le stesse azioni ti arrabbiasti moltissimo con me, dicesti che non avevo compreso cosa fosse il sapere se limitavo la tua opera ad azioni di poco conto. Dicesti che evidentemente non avevo nulla da insegnare e te ne andasti, come da copione, sbattendo la porta. Io tornai a casa scuotendo la testa con tenerezza, col cuore colmo di speranza che tu, un giorno, saresti tornato a dirmi: “amico mio, ho capito perché mi hai fatto fare questo”. Passò del tempo in cui non ti vidi più, poi tornasti a bussare alla mia porta, calpestando il tuo orgoglio, e mi raccontasti per filo e per segno come eri cambiato grazie a quelle azioni di poco conto.
Avevi compreso. Ed io per te da allora divenni un amico.
Fu quello il periodo in cui iniziasti la pratica: i tuoi passi erano veloci e in te vibrava il fuoco speranzoso e appassionato del novizio. Il tuo affetto in quel periodo mi diede moltissimo, e molte volte mi costava fatica spegnere il tuo entusiasmo quando rischiava di portarti fuori strada, perché era così bello da vedere che mi sembrava di sciuparlo.
Hai imparato molte lezioni e hai affrontato molte prove. Hai imparato ad accogliere ciò che viene, a lasciar andare ciò che è distrutto, a custodire la gioia come un bene prezioso, a dirigere un poco le maree. Guarda indietro, se vuoi, per un momento, e vedrai la strada che hai fatto. Eppure, per farti avanzare, è il momento che io ti sveli alcune cose: non esiste un miracolo che ti faccia diventare da uomo mediocre a illuminato, esistono molte lezioni da imparare. Quello che tu chiami “Segreto” in effetti esiste ed è una chiave che soltanto il tuo Intimo può darti. Bada bene, allora, a dove cerchi, non mettere il carro davanti ai buoi: nessun uomo, nessuno spirito, angelo o demone può venderti la Verità, perché solo il tuo Nume la conosce. Nessun astruso sigillo aprirà le porte dell’invisibile: si spalancherà la lingua oscura dei segni solo davanti alla luce dell’Intelligenza. Tutto ciò che puoi fare, è svegliare questo Nume. Io posso accompagnarti alla sua soglia ma non posso parlare in sua vece: tu non conosci quel linguaggio né lo comprenderesti, ma puoi stare certo che tutto il duro lavoro che compi ha questo scopo, e lo comprenderai quando lo scopo sarà raggiunto.
Oggi, come in passato, io ti lascio andare col cuore colmo di speranza che un giorno ritornerai, a dirmi “Amico mio, ho udito il linguaggio degli uccelli. Ho compreso perché non poteva essere la tua voce a svelare l’Iside.”
Allora, così come oggi mi chiami amico, mi chiamerai fratello.”
Il vecchio amico posò la penna e si mise in attesa. Di cosa, soltanto lui poteva comprenderlo.
Un lampo indistinto si levò all’improvviso e nella lingua degli uccelli bisbigliò:
“Tienila in un cassetto. Verrà il giorno in cui gliela darai, ma non è oggi: ancora non sai se supererà mai quel varco e sarebbe crudele mostrargli una porta di cui non avrà mai la chiave.”
Allora il fratello anziano comprese che anche il suo amore per il giovane amico sarebbe rimasto segreto fino a quel giorno, perché quello stesso Amore parlava il linguaggio degli uccelli, incomprensibile agli uomini.
Iehuiah
Accademia Kremmerziana Patavina