Iniziazione ermetica
Iniziare vuol dire cominciare. Initium, principio. Nessuno dà la fine.
Perché l’arcano è di natura tale che chi più lo ha intravisto da vicino
non può comunicarlo. (I, 10)
Non credete a nessuno. Non esiste scienza che non debba stare a un controllo di esperienza.
Possiamo dire: noi sappiamo quando la nostra esperienza personale ci rassicura. [...]
Bisogna leggere profondamente un sol libro: il proprio. (II, 227)
G. Kremmerz
Alla luce del significato che il termine “iniziazione” spesso assume, si richiede un chiarimento su quale sia la differenza tra iniziazione sociale (o “rito di passaggio”) e iniziazione “individuale”, o occulta.
Mircea Eliade adopera questo vocabolo all’interno di una ricerca antropologica in un contesto sociale di stampo tribale, evidenziando il passaggio dell’individuo dall’età puerile all’età adulta per mezzo di un rito che si espleta al cospetto dell’intera comunità. Ne sono un esempio il rito di passaggio delle bambine nel gruppo delle donne alla comparsa del primo sangue e il suo corrispondente rito maschile. In alcune tribù e società di stampo non capitalistico, ancorate a uno stile di vita legato ai cicli naturali, questo tipo d’iniziazione riguarda, ancora oggi, tutti i membri della comunità al raggiungimento dell’età adulta. Nella nostra società, fino a non troppi anni fa, si parlava di “debutto in società”: un rimasuglio, appunto, di riti sociali più antichi.
Presso gli indiani Chiriguanos la comparsa del primo sangue nella donna segna l’inizio di un rito, in cui le donne adulte della comunità tentano di scacciare con dei bastoni il serpente che l’ha morsa.
Questo stesso concetto di “iniziazione” emerge nella prassi di molte scuole iniziatiche – antiche e moderne – in cui il candidato, dopo un periodo più o meno lungo di prova o di noviziato, viene ammesso alla Via che ha scelto tramite una cerimonia che si svolge al cospetto di tutti gli affiliati al gruppo, al clan o alla congrega.
In entrambi i casi sopra elencati il termine in questione non perde la sua connotazione tradizionale di “initium”, legando però il concetto di iniziazione all’ingresso in un gruppo di persone e, quindi, ponendo l’accento su una dinamica sociale o di gruppo. In ambito ermetico si preferisce qui parlare di “ammissione” a un gruppo di lavoro, a una Catena operante.
Ciò che invece s’intende in ambito ermetico con questa parola ha poco a che fare con un rito o con un sacerdote, e ha carattere più spiccatamente individuale: iniziazione indica l'accesso a una nuova vita, così come il feto viene espulso dall'utero della madre e apre gli occhi su un altro mondo. È bene distinguere altresì questo concetto dal più moderno di “autoiniziazione”, non tanto perché sia un approccio sbagliato, quanto perché spesso legato all’idea di un individuo che, al termine di un noviziato solitario, si “autoinizia” a una corrente magica, a una Via.
Tornando al concetto ermetico di iniziazione, spesso la seconda nascita è indicata con l'uscita dall'uovo, cioè una nascita senza cordone ombelicale, la nascita senza genitori terreni.
Se sia necessario o meno un "maestro" per ottenere questa seconda nascita è relativamente facile dirlo: il Maestro si trova in se stessi, non c'è altro Maestro al di fuori del Nume proprio, quando inizia a farsi loquace. Ci può essere l'ausilio di un compagno di strada più avanzato, ci saranno le pratiche tradizionali che sono state tramandate e che qualcuno ancora custodisce... ma il varco tra la semplice pratica sperimentale e la Via iniziatica può essere oltrepassato solo dall'individuo.
Questa è la fondamentale differenza.
Va da sé che, nella tradizione ermetica presa in esame, il momento dell'iniziazione non è “deciso” dall'individuo, né tantomeno è un rito che si possa celebrare o qualcosa che si possa decretare: avviene, così come avviene che all'improvviso, dopo essere stato covato per lungo tempo, il pulcino rompa il guscio e si affacci sul mondo. Si tratta di un concetto, quindi, più simile a quello platonico e pitagorico: in greco “iniziazione” viene dal verbo “telein”, che significa completare. E l’iniziato è inteso qui, appunto, come un uomo “completo”, Uno con se stesso. Essere Uno con se stesso significa, in soldoni, che non c’è scissione alcuna tra il suo volere e il suo desiderio, non c’è lotta tra il suo spirito e il suo corpo lunare. Da questa “Unità dell’essere” discendono, di conseguenza, i vari poteri e poteruncoli che le leggende metropolitane attribuiscono a personaggi di questo calibro. Ecco, quindi, il motivo per cui sentirete di rado, in un circolo di ermetisti, questa parola: in altri ambiti, ciò che qui si chiama “iniziato” si chiamerebbe “maestro”. Ma è pur sempre una questione di terminologia propria alle varie tradizioni.
Qualche parola andrebbe ora spesa sui “poteri”, giacché sono stati chiamati in causa. Le leggende narrano di iniziati sul cui volto il tempo non sembra lasciare segni; parlano di un’aura di maestosità che li circonda, o di guarigioni miracolose, o di chiaroveggenza. È bene comprendere che il fine della Via non è quello di diventare un fenomeno da baraccone. Il problema dei poteri è molto più semplice e, per non tediare il lettore con lunghe filosofie, basterà dirla semplicemente: alcuni individui, e nemmeno tutti, posseggono delle facoltà latenti che nel processo di Risveglio vengono alla luce. Non c’è alcun addestramento per far vedere un cieco o per far udire un sordo, ma un semplice perfezionamento di ciò che la Natura ha posto in un uomo: se tutto l’essere si perfeziona, ciò che vi è in lui verrà a galla con naturalezza e semplicità, purificato e… funzionante. Non c’è quindi alcun potere reale, esercitabile a volontà, svincolato dal risveglio dell’Essere.
Ci si chiederà, a questo punto, cosa mai un individuo debba fare per incamminarsi lungo una via iniziatica così intesa. La risposta è semplice, ma non piacerà; sono anzi convinta che, a questo punto, in molti chiuderanno questa pagina con un senso d’insoddisfazione.
Per percorrere la Via iniziatica bisogna PRATICARE, tenendo presenti i seguenti punti: 1) Le letture, per quanto impegnate, da sole sono soltanto cultura o stimolo. 2) La pratica non è un esercizio sporadico. 3) I primi risultati tangibili arriveranno dopo anni.
Vediamo ora di comprendere questi punti: la teoria è una parte importante del percorso perché permette di penetrare in un nuovo linguaggio e permette alla mente (che inizialmente è uno dei pochi strumenti a nostra disposizione) di ambientarsi a una nuova concezione del mondo e di se stessi. D’altra parte, la teoria magica è fatta di simboli, i quali iniziano a schiudersi veramente alla comprensione attraverso l’esperienza e, quindi, la pratica. In caso contrario, rimarremo parolai da salotto: colti e raffinati, magari, ma pur sempre persone di cultura e non Filosofi nel senso antico del termine. Come già detto sopra, questa pratica non riguarda i corsi di un weekend che promettono l’illuminazione, o i 20 minuti di meditazione alla settimana. O meglio, può anche ridursi a questo, ma direi allora di non sperare in risultato alcuno che non sia altrettanto sporadico quanto il tempo che si dedica alla Ricerca. Quanto ai risultati tangibili, essi iniziano a mostrarsi all’individuo (che comunque già avrà necessariamente notato dei cambiamenti in se stesso e nella sua percezione del mondo e delle problematiche quotidiane) nel momento in cui la purificazione operata in sé sarà giunta a un grado tale per cui l’uomo storico inizia a disvelarsi e una nuova percezione si affaccia. A questo punto si è alle porte del cammino Iniziatico, ermeticamente inteso.
Mi rammarico d’aver dato poche speranze ai curiosi e agli impazienti e mi rammarico di non aver promesse di riuscita da fare a chi non ha chiara la spinta interiore che lo muove. D’altra parte, quando per la prima volta lessi Elifas Levi, trovai questa frase nel primo capitolo del Dogma dell’alta magia: “Ma prima d’ogni cosa, chi sei tu che tieni questo libro tra le mani? […] La magia, che gli antichi dicevano sanctum regnum, il santo regno di Dio, regnum dei, è fatta solo per i Re e per i Sacerdoti: siete Re, voi; siete un Sacerdote?”.
Come concludere, allora, questo breve intervento sull’iniziazione?
Se il lettore non ha ancora chiuso questa pagina; se non ha storto il naso nel sentir parlare di una Via impervia; se, anzi, dopo tutto ciò sente la voglia di rimboccarsi le maniche, gli darei senza ulteriore indugio il benvenuto tra coloro che tentano la scalata della montagna sacra. E se avrà la pazienza di “affrettarsi lentamente” nel lavoro, il tempo farà di lui ciò che il suo Nume ha decretato.
Iehuiah