Il Risveglio di Hermes
Quando emergeranno nell’essere una certa neutralità e un certo dominio sul desiderio, si sperimenterà allo stesso tempo una situazione paradossale: tutti, infatti, viviamo lasciandoci semplicemente trascinare dalla voluttà del desiderio, oppure dall’abitudine di compiacere gli altri, e quando queste consuetudini vengono smantellate dalla purificazione e dal lavoro su di sé, pare che tutto perda importanza, dal momento che non v’è alcun modo alternativo, secondo la propria esperienza, di vivere la vita. È a questo punto che in molti si manifesta un senso generale di sconforto e d’impotenza: senza la lente del desiderio o dell’abitudine, tutto perde importanza. O meglio, si dovrebbe dire che tutto assume la stessa importanza rispetto al resto.
È dunque indifferente, per l’essere, fare o astenersi dal fare qualcosa che prima pareva irrinunciabile, e allo stesso tempo ciò che un tempo produceva appagamento diviene semplicemente qualcosa di piacevole, ma non di determinante o indispensabile.
In un limbo, l’essere deve prendere atto della sua morte: ciò che era prima è scomparso.
Qualcuno disperatamente tenta di farlo tornare, poiché non conosce un altro modo di vivere, e anche se si rende conto che la sua esistenza non sarà più quella cui era abituato, si sente rassicurato dalle situazioni a lui familiari, comode e collaudate.
Ma può anche accadere che qualcuno si chieda: c’è un altro modo di vivere?
Può accadere di prendere atto che questa morte non è una disgrazia, bensì una possibilità, e si avverta la necessità di costruire nuovi criteri, stavolta scelti consapevolmente e non subiti, dato che l’unica altra via, che non sia questa o il ricadere nelle abitudini, è convivere con l’indifferenza e non costruire nulla sulle macerie del vecchio sé.
È a questo punto che si ha la concreta possibilità di vivere secondo la propria legge; ma la libertà è senz’altro ciò che, più d’ogni altra cosa, può paralizzare un uomo nella paura o nell’indeterminatezza di ciò che vuole.
Il momento di crisi, di cui si è parlato, è certamente noto a coloro che si siano avventurati lungo una Via e, operando così come gli è stato consigliato, abbiano ad un tratto sperimentato che, continuando a percorrere il sentiero, non sarebbero potuti più tornare indietro; allo stesso tempo, essi avranno sperimentato il timore di perdere la precedente esistenza e la tentazione di credere di poter salvare entrambe le cose.
In queste pagine vorrei rivolgermi, appunto, a chi si trovi in questa zona di confine – tra la vecchia vita e la nuova – e versi in quello stato di confusione da cui molti sono vinti: questa pericolosa curva del sentiero, in realtà è un bivio di fronte al quale molti si arrestano. Ciò non significa, tuttavia, che mi accinga a scrivere una ricetta su quale strada prendere e come percorrerla, dal momento che c’è bisogno, semplicemente, di fare il punto della situazione: dove siamo? Cosa sta accadendo?
Per fare il punto, partiremo da nozioni già note: nella sostanza di cui è costituito l’essere umano sono presenti strati più sottili di materia e strati più densi, i quali coesistono nell’individuo. Secondo la scienza ermetica, la sostanza più sottile e quella più densa appartengono, a loro volta, a diversi stati di esistenza, o “mondi”, che possono essere individuati nel mondo delle Cause e nel mondo materiale.
Ripercorreremo, preliminarmente, lo schema dei quattro corpi dell’essere umano, per poi passare all’argomento principale di queste pagine, e cioè il risveglio dell’Ermete, che conosciamo ora, per barlumi, attraverso lo stato ermetico che abbiamo iniziato a sperimentare per mezzo del corretto e paziente lavoro su noi stessi.
Il Principio Primo, o, emette un secondo stato, , con funzione di organizzazione intelligente della sua Essenza. è quindi coagulazione del . , a sua volta, coagula la con funzione di sensibilità rispetto sia al mondo dei sensi che al mondo dello spirito, la quale, tuttavia, nel corso dell’incarnazione umana, è attirata dal dominio di e perde progressivamente la percezione del suo legame con gli stati più rarefatti dell’essere, fino a dimenticare il luogo da cui essa proviene.
Abbiamo così un corpo terrigeno, , che si avvale della facoltà lunari per il suo soddisfacimento e per l’organizzazione delle sue facoltà: di conseguenza la conformazione umana, così come dovrebbe essere (cioè + + aventi come Tempio ), si trova invece nella condizione di due diadi contrapposte ( + e + ).
I due mondi, celeste e terrestre, perdono così la loro facoltà di comunicare, che può esplicarsi solamente attraverso l’unione di + .
Questa unione fra i due mondi è chiamata da Hahaiah “interstizio” mentre, nel fascicolo B della nostra Schola, Kremmerz parla di Hermes come messaggero tra la dimensione celeste e la dimensione umana ordinaria.
Vista l’incomunicabilità in cui versano lo spirito umano e la sua coscienza ordinaria, come può l’uomo ristabilire la propria unità, integrando entrambi i suoi aspetti?
1) attraverso il lavoro di purificazione e il separando lunare, che porta il corpo lunare a volgere il suo sguardo dal saturno a se stesso, e, quindi, al corpo mercuriale.
2) attraverso l’obbedienza della Luna agli impulsi ricevuti da Mercurio, che cementificano lo stato d’essere ottenuto nell’“interstizio”: Hermes, inteso come zona di comunicazione tra i mondi.
Il punto 1) è attuabile certamente attraverso il lavoro miriamico, mentre del secondo stato ci si occupa più innanzi. Infatti, la purificazione è lavoro ben più lungo rispetto al semplice “voltare le spalle alle attrattive del mondo materiale”, cosa che, di per sé, non porterebbe più in là di una realizzazione etica o morale o, peggio, di una frustrazione della personalità.
Il separando lunare attiene, invece, al lavaggio del corpo lunare, operato per mezzo di un fuoco segreto, onde renderlo un perfetto ricettacolo degli ordini che esso riceve dal corpo mercuriale, che opera sul primo per irraggiamento; attiene altresì alla sottile percezione del tenue filo che lega le leggi naturali, attraverso le quali si manifesta la Legge che permea ogni cosa: una volta che l’essere umano, infatti, attraverso l’incarnazione fisica e la sua prostituzione, abbia dimenticato il suo luogo di provenienza, dovrà imparare nuovamente a percepirne le vibrazioni, e rendersi nuovamente cosciente di sé come entità svincolata dai capricci della personalità e le pulsioni della carne.
Ma andiamo con ordine: in un primo tempo si assiste a un periodo in cui l’individuo riscopre se stesso e i suoi impulsi più segreti; e questo, tuttavia, non segna ancora il suo ingresso nel Mondo delle Cause.
In questa fase, gli impulsi atavici dell’uomo storico si appalesano nella loro naturalezza: l’uomo scopre così di volere e ricercare la vicinanza di elementi e azioni conformi alla sua natura, di avere in sé una sorta di principio discernitore di ciò che a lui è adatto (o, meglio, di ciò che a lui è simile).
Agendo in conformità con la propria natura occulta, egli si rafforza e si rende fisso, centrato, non più travolto dagli eventi ma agente. Egli allontanerà in modo naturale tutto ciò che a lui non è conforme, e allo stesso tempo, forse, trascorrerà un breve periodo della sua vita in cui godrà della gioia di attirare ciò che è simile alla sua più intima essenza, senza più ricercare nel mondo ciò che altre persone gli hanno insegnato sia giusto, ma scegliendo ciò che è giusto per sé.
Una volta che abbia iniziato a prendere coscienza della propria natura, e che abbia conseguentemente allontanato da sé tutto ciò che la ostacola, l’individuo lentamente sarà portato a fare un passo innanzi e a distogliere la sua attenzione da se stesso per volgersi alla conoscenza degli impulsi che egli continuamente riceve dal suo Io più profondo: a questo punto, egli potrà cominciare a percepire la volontà e gli ordini del lato più elevato di sé.
Se, infatti, è vero che un lunare provvisto di uno stato di mobilità realizza quanto voluto, è anche vero che “colui che vuole”, cioè colui che impartisce gli ordini, non può essere l’uomo volgare col suo capriccio. È certamente possibile che eventi naturali possano essere previsti, o che situazioni non attinenti a desideri personali possano subire modificazioni a volontà, tuttavia l’uomo in cammino, che abbia risvegliato in sé alcune di queste facoltà “magiche”, si avvedrà ben presto che esiste un limite insormontabile al suo volere: e questo perché tutto ciò che va contro la Legge e una ben più elevata Volontà non viene realizzato.
Ma da dove promanano questa Legge e questa Volontà? L’individualità storica, infatti, per quanto più profonda e antica del sé attuale, non è affatto perfetta: essa è più o meno evoluta a seconda del grado di perfezione dell’essere – realizzato in un tempo anteriore alla nascita – e, tuttavia, non è l’Io elevato che noi ricerchiamo. Questo Io, sopravvissuto attraverso le epoche nel nucleo storico dell’uomo, va da esso separato: il nucleo, potremmo dire, è composto da una parte individuale e da una parte universale (ed è quest’ultima, appunto, che gli ha garantito la sopravvivenza oltre il Lete della morte della personalità).
È appunto questo il punto che rimane oscuro: quanto di ciò che vogliamo provenga da impulsi atavici (pur sempre personali) e quanto, invece, promani da un Io più elevato: e questo è, appunto, l’oggetto della nostra ulteriore separazione.
Per comprendere la differenza tra questi due impulsi, l’obiettivo che ci si dovrebbe porre innanzi è quello di investigare le leggi naturali, in cui la Volontà dell’Essere-Uno si manifesta senza veli: l’Ermete, infatti, si trova in armonia profonda con la Prima Virtù, più che con gli impulsi individuali che con lui sono sopravvissuti. Dall’altro lato, la sua armonia con la Legge universale costituisce un ponte, che l’ermetista può oltrepassare, dirigendosi verso la vita universa.
Così, si può col tempo provare a sollevare il velo che separa la nostra percezione dal flusso e riflusso continuo della Vita-Luce, che in sé reca la ragione intrinseca di ogni cosa e di ogni avvenimento.
Sarà perciò necessario che si inizi a volgere l’attenzione verso questo “Altro” (che alcuni chiamano Nume, altri Hermes, altri Doppio, altri semplicemente Io), che inizialmente si manifesta tramite impulsi volitivi ben definiti, per far sì che l’essere umano, reso immacolato, possa unirsi al promesso sposo in una regione più elevata, nella quale entrambi possano coesistere: questa è, come ho già anticipato, una zona di confine in cui i due lati dell’essere umano (celeste e terreno, universale e individuale) possono compenetrarsi, zona della quale si ha sentore con la nascita dell’Ermete, separato dall’io storico.
Onde riflettere sulla natura di questa mirabile rinascita dell’uomo, è opportuno descrivere – per mezzo di parabole e metafore, perché ciò è quanto mi è concesso – la peculiare gestazione attraverso la quale tale Essere viene dato alla Luce.
Mano a mano che il processo di purificazione viene operato, di due eventi noi saremo testimoni: da un lato, la voracità e l’eterna tensione di Saturno e la sua irrequieta brama tenderanno a placarsi; di questa purificazione in senso stretto, fiumi d’inchiostro hanno già chiarito i caratteri principali, quindi non si ritiene indispensabile dirne oltre: la pratica chiarirà quanto si è letto e quanto ancora non è stato scritto.
Dall’altro lato, se questa prima purificazione incontrerà il successo sperato, un evento ben più grande troveremo ad attenderci, e tale evento apre le porte della cerchia più interna delle mura del Tempio: quando, infatti, il corpo più grave cessa di imporre la sua eterna influenza sul recettore lunare, la purificazione muta e diviene lavoro di separazione.
Il mezzo per purificare il plumbeo corpo saturniano è il silenzio ermetico: e ciò perché soltanto imponendo la quiete all’eterna brama che tutto divora, il corpo lunare può infine divenire materia vergine per la nostra Opera.
Una volta che il Lunare sia stato identificato, infatti, si individueranno al suo interno due strati e funzioni: nella prima accezione, che è poi quella più bassa, il Lunare è analogo al sistema nervoso; viene perciò stimolato dal mondo esterno, del quale elabora gli influssi per mezzo della propria memoria plastica.
Un secondo strato del corpo lunare inizia, invece, ad emergere quanto più la purificazione è realizzata e prende piede una prima e naturale separazione della sensibilità lunare dalla materia più grave: a questo punto, infatti, vi sono momenti in cui il centro cosciente dell’uomo si polarizza in una zona più elevata del corpo lunare, percependo sentimenti più nobili, ideali più elevati e un certo senso di libertà dal mondo terreno che può spingersi fino a istanti di pace interiore ed episodi di chiaroveggenza.
Questo stato “misto”, cioè posto a metà strada tra il lavoro di purificazione e quello di separazione, è descritto graficamente in Figura 1.
Ecco, dunque, che la parziale libertà del corpo lunare dalle catene del mondo materiale lo porta a svincolarsi da questo influsso continuo e ad aprirsi, nella sua parte più elevata, all’irraggiamento di una regione più elevata, dalla quale esso riceve i primi impulsi.
È qui che si situano i primi sentori del fatto che una vita diversa è, a tutti gli effetti, possibile, e si intuisce di che natura essa possa essere: bagliori di luce intellettuale e, a volte, memorie sopite di altri stati di coscienza vissuti nell’infanzia o nel corso della vita, si fanno strada.
La strana sensazione di avere da sempre conosciuto questo stato d’essere, ma al contempo di averlo dimenticato e messo da parte per una vita intera, inizia a risvegliare la coscienza del “miste” nel percorrere un sentiero dal quale, a questo punto, difficilmente farà ritorno: è questo l’influsso di Mercurio sulla Luna, o il Battesimo – nel suo significato esoterico – che preannuncia la nascita di Ermete e segna il risveglio dell’individualità occulta (il Battista, precursore del Cristo).
Lentamente, l’uomo si ritira e ricava degli spazi di solitudine, durante i quali un’azione magica non sarà più un dovere, bensì una necessità e un nutrimento per questo “Altro”, per il Doppio che va risvegliandosi.
Ma è anche possibile, come precedentemente abbiamo visto, che sperimentando questo stato l’uomo, lungi dall’essere sereno e abbandonarvisi, entri in crisi, poiché sente di stare perdendo le certezze di una vita scandita che precedentemente viveva: questo è quanto ho tentato di descrivere nella seconda parte di questa figura, mostrando che il corpo lunare, in realtà, non è in questa fase totalmente libero da Saturno e questo, nella vita quotidiana, può tramutarsi in una sensazione di timore e inquietudine.
Spingersi oltre nell’ascenso, a questo punto, equivale a vincere sul continuo richiamo del mondo terreno: soltanto operando una separazione netta tra il corpo lunare e il fisico, infatti, è possibile provocare l’assunzione in cielo della Vergine, onde si unisca allo Spirito Santo e partorisca il Cristo, che non a caso si dice abbia una doppia natura e faccia opera sia di maschio che di femmina (cfr. Fig. 2).
Venendo, ora, all’argomento principale di queste pagine, devo preventivamente dire – onde non accaparrarmi il titolo di invidiosa – che questo passaggio dal “misto” all’interstizio, per essere operato, necessita di un fuoco speciale, che sia in grado di vincere la forza di gravità che ancora il Lunare a Saturno: in assenza di tale fuoco segreto, infatti, la netta separazione non sarà impossibile, ma per lo meno lunga e difficoltosa.
Per meditare, perciò, sulla meravigliosa creazione dei Filosofi, è necessario in primo luogo riflettere sul fatto che essa reca in sé una doppia natura, e cioè quella della materia acquea, che l’artista ha imbiancato per mezzo del fuoco segreto, congiunta al rosso dell’uovo mercuriale (cfr., ancora, Fig. 2).
Questo nuovo Essere, dunque, contiene in sé le virtù dell’Intelletto e la capacità generativa della Femmina Celeste; ed è perciò che si parla di un perpetuo stato di polluzione creativa: cioè perché, dal momento in cui questo citrino viene fissato in un color rosso rubino, per mezzo dell’adeguata nutrizione di Hermes fanciullo (di cui altrove ho già diffusamente parlato), il matrimonio tra l’uomo e l’Empireo viene cementato.
I due triangoli opposti dell’esagramma di Salomone rappresentano, rispettivamente, il mondo materiale e il mondo delle Cause, che possiamo intendere, dal punto di vista microcosmico, come l’uomo volgare ( + ) e l’uomo celeste, o Intelligenza umana ( + ).
I due mondi, tuttavia, pur compenetrandosi e coesistendo, possono passare una vita intera a non percepirsi e, come abbiamo avuto modo di leggere in qualunque testo ermetico, l’unico modo che abbiamo per renderci Uno è quello di risvegliare (o “creare”, dicono alcuni, ma tale termine in realtà mi pare irrispettoso) Colui che, solo, può far da tramite tra Cielo e terra.
Chi abbia iniziato a distaccarsi dalla condizione ordinaria dell’essere umano può comprendere bene quanto ho appena detto: infatti si smette naturalmente di occuparsi delle faccende che assorbono il volgo (incentrato sul solo soddisfacimento delle brame saturnie) nel momento in cui ci si rende conto che la vita fino ad allora condotta soddisfa solamente una parte del proprio Io, il quale invece è ben più complesso e, risvegliandosi gradatamente, manifesta nuove necessità, attinenti ad altre sfere dell’esistenza.
Il mutamento delle proprie abitudini non sarà più, quindi, un dovere imposto dall’autodisciplina: uno dei primi segnali del fatto che il lavoro di purificazione sta andando a buon fine è proprio quello di sentirsi inquieti nel passare tutto il proprio tempo ad attendere a faccende materiali, perché ci si rende conto che, così facendo, non avanza tempo per altro e una parte di sé rimane, per così dire, insoddisfatta.
Questo “altro” di cui si ha bisogno, però, forse non lo si è ancora individuato compiutamente. Ed ecco che è anche possibile che l’aspirante, in questo frangente, cerchi alla cieca nuovi stimoli o si abbandoni alla gioia e alla naturalezza della soddisfazione della propria personalità atavica che, lo si ripete, è soltanto un precursore dell’Io risvegliato.
Leggendo però attentamente le opere di Kremmerz e dei Filosofi, noteremo che le indicazioni in tal senso sono state fornite: è necessario che questo Essere trovi degli spazi per esprimersi e per elevare la sua natura, che da personale deve divenire universale (in poche parole, deve essere messo in armonia con la Legge).
Da qui derivano tutti i consigli contenuti, ad esempio, nei Versi Aurei di Pitagora o nei capitoli della Porta Ermetica dedicati alla temperanza nelle passioni: rileggendoli ora, essi assumeranno un diverso significato e, praticandoli, essi inizieranno a sviluppare le condizioni necessarie per il risveglio e la crescita di quello che, un giorno, sarà il nucleo radiante dell’Essere rinnovellato.
Per questo, l’esagramma rappresenta anche la pace, all’interno dell’essere umano, tra i due mondi prima contrapposti, che attraverso il matrimonio tra il Cielo e la Terra (attraverso la sublimazione dell’individualità atavica, separandola dalla personalità) si pacificano nel reciproco amore, così enucleando un nuovo Essere, il quale, solo, conosce la missione incarnativa dell’individuo.
La prima fase della percezione di un mondo più elevato, quindi, è diretta conseguenza dell’evoluzione e dell’innalzamento del corpo lunare, fino al punto in cui questo strumento perfetto di percezione riceve i primi raggi intellettivi provenienti dal custode della causa d’incarnazione dell’essere umano.
Una volta che sia individuata la sottile presenza del Messaggero, una volta sperimentata la sua natura svincolata dall’idealismo, dal romanticismo, dalla filantropia e da ogni sensazione lunare, si potrà col tempo anche sperimentare la preponderanza dell’Intelligenza mercuriale sulla sensibilità lunare, con piena obbedienza del secondo rispetto agli ordini e agli impulsi che riceve.
Infatti il corpo mercuriale, i cui raggi l’Ermete nostro ci permette di percepire, è messaggero della Legge, dell’Essere Primo che esplica se stesso in ogni manifestazione naturale, visibile e invisibile; e il suo Verbo, fatto carne, porta l’individuo antico, risorto nell’uomo, ad agire e pensare in armonia con questa Legge, fino alla totale eliminazione di una distinzione tra il volere dell’uomo volgare e dell’uomo celeste: ecco che l’uomo è nuovamente Uno.
Non mi rimane, ora che pedestremente ho intessuto quella che non è una ricetta, bensì una metafora del lavoro da svolgere in una vita intera, che raccomandare all’aspirante che sia giunto fin qui poche altre cose: quando verrà la luce di quest’alba ricorda sempre con quanto ardore e speranza l’hai aspettata, e non fare che l’entusiasmo e la soddisfazione facciano tacere la sete di luce che ti ha spinto innanzi, perché ci sarà ancora del lavoro da fare.
Rammenta sempre quelle preghiere, mormorate quando eri perduto e non ti rimaneva altro che la speranza nell’intervento del tuo Nume: scordarsi dell’aiuto ricevuto quando tutto è andato a posto non è onorevole. Ricorda i momenti in cui piegasti la testa, vinto dalle avversità, e ti parve di vedere ogni cosa dissolversi, ogni sogno infrangersi, per trovarti infine sollevato al di sopra del baratro, tratto in salvo: rammenta le tue vittorie e non darle per scontate.
In una parola: impara l’umiltà.
Ricorda anche che ciò che può spingerti innanzi è soltanto il tuo fuoco interno. Non vani romanticismi, non speranze e illusioni, non poesia, ma coraggio, fiducia e forza.
Per volontà tu potrai imporre il silenzio alle tue angosce e domandare neutralmente ciò che vuoi. Se ciò che chiedi è onesto, le tue pene saranno placate fino all’inesorabile compimento del tuo volere – altrimenti, immediatamente sentirai neutralizzarsi il tuo volere e sarai incapace di domandare senza dubbi. Non baderai, in seguito, ai fantasmi e alle ombre che si spargeranno sul tuo cammino per farti dubitare: imporrai loro il silenzio, non farai penetrare alcuna incertezza e guarderai invece ogni cosa con occhio attento per scorgere ciò che sarà, perché ogni cosa parla se tu sai ascoltare.
Quando le tue angosce paralizzano la volontà, quando realmente non sei in grado di astrarti dal turbine lunare che ti attanaglia, la forza a tua disposizione può permetterti comunque di raggiungere uno stato attivo di fede. Innanzitutto, anche per pochi minuti, rassicurati e placati. Richiama alla mente il tuo legame col Nume, per quanto flebile ti possa sembrare, e mettiti in ascolto. Gli dirai queste parole: “Non me ne andrò finché non avrò un segno su cosa io debba fare.” A seconda di ciò che ti è più congeniale (non di quello che desideri) ermeticamente prega che con un bisbiglio nella mente, una visione, un segno per la strada, un’intuizione, egli ti mostri la via per ottenere ciò che vuoi o, se ciò non può avvenire per qualche tua negligenza o per giustizia, tu ne possa comprendere la ragione e accettarla. Sii poi vigile e attento a ogni segnale e, se ti pare che qualcosa ti venga domandata, falla senza domande.
Sappi, però, che qualunque delle due vie tu scelga di imboccare, la Legge che decreta ciò che potrai o non potrai avere è la medesima: non desiderare ciò che non ti spetta e sii sincero con te stesso.
* * *
II. Appunti sullo Pneuma, la Luce e la ‘memoria-matrice’
Le ripetute pratiche e sublimazioni sono atte a creare, col tempo, un nucleo fisso nell’individuo: tale embrione, che va nutrito e preservato, dovrà poi essere accresciuto e stabilizzato attraverso la costante armonia dell’essere con la Legge, onde infine essere enucleato in una regione più sottile e rarefatta del cosmo invisibile e alla quale i termini umani non riescono a rendere giustizia.
Qualcosa di essa, forse, può essere espresso simbolicamente, venendoci in aiuto termini già usati da alcuni autori per descrivere la sostanza di cui l’Empireo è permeato.
Vi sono, infatti, due principi occulti di cui gli autori sempre parlarono soltanto tra le righe, tramite i quali il cosmo fu creato e l’Intelligenza vivente si manifesta nel mondo, tessendone le armonie: questi sono lo Pneuma, che fa opera di argentea femmina, e la Luce. E soltanto la prima può vedere il volto dello sposo, una volta temprata dalle prove imposte da mamma Venere, senza morirne e senza perderlo.
Il primo è stato chiamato Spirito Universale, Spirito Santo, Efflato, e in molti e diversi modi: è l’alito di vita che origina e costituisce il moto perpetuo, lo Ptah egiziano, il Verbum del principium giovanneo – che “era presso Dio, ed Egli era Dio”. In ogni cosa la vita è infusa per mezzo suo, e da immobile potenza ogni cosa diviene atto soggiacente alla Legge, al meccanismo ineluttabile che tesse ordinatamente l’universo – manifesto e immanifesto. Nello Pneuma, o Iside Urania, è contenuta ogni causa del moto, ogni intrinseca ragione d’esistenza degli esseri, i quali dall’ordine immutabile, contenuto in sintesi nella Luce, traggono il loro fine – che è il suo particolare riflesso reso manifesto.
Per mezzo di Lui il mondo fu creato, essendo esso agente e al contempo sostanza in eterno moto – poiché tutto è materia –, sostanza eternamente riversantesi in sé, e per sé accrescendosi, cosicché innanzi allo spettacolo della sua armonia l’occhio si sente preso da vertigine, incapace di concepire l’esponenziale pullulare di vita.
Analogicamente è nel respiro che l’uomo assume lo Pneuma: tale funzione corporea corrisponde infatti alla sottile espansione e contrazione della materia vivente. In questo eterno moto, allo stesso modo che nei mondi della Luce, l’uomo è immerso in ogni momento attraverso l’Intelligenza che governa le sue funzioni vitali e ne costituisce la ragione intrinseca. Di tale sostanza egli può sottilmente nutrirsi, per accrescere l’analogo principio che egli in sé racchiude. Qualcosa infatti sovrintende all’ordine del corpo, e analogicamente a tutta la materia umana ordinata ad arte: un intelletto esprimentesi per impulsi volitivi, dotato di una facoltà di comprensione sintetica. Ciò che tale intelletto in un istante comprende, ha poi infinite implicazioni e adattamenti nella vita di ogni giorno: un esempio è la legge di nascita, crescita, decrescita e trasformazione, che una volta compresa si vede in ogni dove.
Ma il piano più sottile dell’esistenza che la mente umana possa percepire è ciò che i saggi, forse impropriamente, chiamarono “Luce”.
Non si tratta, in effetti, di una luce sensibile emanante dall’astro solare: tale sostanza prende, invece, questo nome in via simbolica, a causa della sua prima sembianza – essa, infatti, si manifesta inizialmente come un bagliore, un lampo che si affaccia alla consapevolezza –; da un altro punto di vista, questo nome pare appropriato perché, come la luce fisica è emanazione del Sole, anche la Luce ermetica è parsa, a chi l’ha percepita, emanazione dell’Intelligenza Prima.
Da pochi autori in realtà, nel corso dei millenni, tale Luce è stata citata, e le sono stati dati diversi nomi: i suoi corpuscoli sono stati denominati “stelle imperiture” o “corpuscoli di fuoco elementare”; le singole scintille sono state chiamate “monadi” o “atomi” (quando ancora, tuttavia, la nozione di atomo, almeno nel suo senso chimico, non esisteva). E tutti gli appellativi si riferiscono, da un lato, alla natura corpuscolare eppure “Unitaria” di tale sostanza sottilissima e, dall’altro lato, alla percezione di essa come qualcosa di luminoso.
Una nuova percezione, infatti, si sarà fatta strada nell’uomo in cammino, grazie alla quale frammenti di questo mondo sottile potranno essere fugacemente conosciuti: un’unica fluidità apparirà come vibrazione di fondo del cosmo, simile a un’onda armonica e ovunque presente – nell’uccello in volo così come nel vento che lo sospinge; nella corrente d’un fiume e nel passo di un uomo. Essi sono, in verità, intimamente legati in uno stesso efflato, fusi insieme in una stessa sostanza composta a sua volta da corpuscoli di intelligenza-luce, sintesi occulta del cosmo e non percepibile nella sua interezza.
Questi corpuscoli, ampiamente descritti nelle opere del principe Raimondo di Sangro, sono in effetti particelle invisibili di fuoco elementare che costituiscono il nutrimento del Lume Eterno.
Così intesa, la Luce è sostanza e Prima virtù che compone e permea l’intero cosmo, tutto congiungendosi e legandosi in Lei e per sua ragione, nulla senza Lei potendo esistere.
Ogni singolo corpuscolo solare – ciò che gli antichi chiamavano monade – contiene in sintesi il Tutto, essendo unica e identica la sostanza che costituisce l’universo (di qui il mistero grandissimo della sua ubiquità, eternità e sintesi, irrisolvibile per qualunque intelletto): un centro psichico cosciente può, tramite intuizione, accedere a tali mondi per trarne conoscenza e nutrimento.
E tali mondi sbocciano istantaneamente innanzi all’occhio dell’intelletto, simili a rose – di qui la metafora dell’Asino d’oro di Apuleio –, portando le verità del mondo delle cause a conoscenza del ricercatore che tuttavia, è bene ripeterlo, tali mondi non conosce né comprende giacché solo la più elevata parte del suo essere può accedervi, fulmineamente. Manca infatti alla mente umana la funzione sintetica che è propria soltanto dell’Intelletto più elevato, cui egli partecipa con coscienza crescente, se il suo lavoro è impeccabile, ma insufficiente per cogliere la Sintesi-Luce nella sua interezza.
L’uomo saprà, un giorno, che in moto perpetuo, nell’etere, sono presenti invisibili atomi in cui, sinteticamente, è contenuto ciò che, per ora, chiameremo ‘memoria-matrice’: l’Essere-Sintesi, infatti, perpetuamente riproduce se stesso in ogni cosa esistente, visibile o invisibile all’occhio umano. Allo stesso modo in cui, nel nucleo delle cellule, è contenuto il DNA che contiene la memoria del corpo fisico intero, così si potrebbe dire che i corpuscoli di Luce sono, analogicamente, il nucleo cellulare dell’Universo (ermeticamente inteso).
Nel procedimento che dà vita all’intuizione, ad esempio, è possibile individuare un istante durante il quale, innanzi alla mente, si affaccia un lampo fugace, assimilabile a uno scoppio improvviso di chiarore che illumina l’intelligenza nella percezione delle verità causali. Si snodano, allora, nessi infiniti tra le cose; la mente spazia percependo distintamente le concatenazioni di senso che legano insieme i concetti e le forme all’interno di una singola Legge, la quale Legge si percepisce come esistente senza, tuttavia, riuscire ad afferrarla nella sua totalità, poiché ciò avrebbe implicazioni tali da far traballare l’intero sistema cognitivo dell’essere umano: la mente umana, infatti, è carente di quella componente sintetica che, per essere risvegliata, richiederebbe probabilmente l’intera padronanza delle facoltà umane – sarebbe, cioè, necessario che l’essere umano intero fosse coinvolto nel processo di percezione intelligente del cosmo.
Tutto ciò che la mente umana è in grado di realizzare è accedere al sapere particolare contenuto nella ‘memoria-matrice’, per mezzo, appunto, dell’intuizione: in tal caso, l’intelletto umano riceve le risposte volute per mezzo di un subitaneo bagliore che rischiara la mente e fornisce la chiave di lettura adatta.
Lo sforzo necessario per accedere alla ‘memoria-matrice’, invece, richiederebbe con tutta probabilità lunghi anni di preparazione, onde formare lo strumento percettivo adatto – non solo per penetrare tale zona sottile, ma specialmente per isolare un corpuscolo solare e ivi fissare la propria intelligenza per un istante sufficientemente intenso da farsene totalmente pervadere.
Indi, il precipitato che risulterà da tale operazione andrà fondendosi con l’intera sostanza umana e, conseguentemente, l’operazione andrà reiterata per un numero di “aquile” sufficiente a illuminare la nuova percezione del cosmo e a trasferire l’essere in una dimensione – ulteriormente – più sottile. Così gli Antichi insegnavano ad estrarre da ogni cosa il suo Principio e vivere nei muti spazi di confine, invisibili agli occhi, avendo distrutto il legame con ciò che l’uomo chiama mondo. E il loro spirito è libero.
In tale limbo l’intelligenza umana, creata ad Arte, potrà infine risiedere e di lì percepire il fluire di cause ed effetti, l’eterno riprodursi dell’Essere-Sintesi che riversa la sua essenza nel cosmo in eterno moto: ed egli, agente nel mondo e presente a se stesso nei cieli imperituri, conoscerà quello stato di polluzione creativa che permea ogni azione dell’essenza adatta al suo fruttificare.
Né uomo né dio, l’Essere sarà infine Se stesso: la sua durata sarà l’eternità, il suo termine la perpetuità, poiché chi è stato generato nel fuoco non teme la morte del corpo, ma mira a conservare la presenza a se stesso oltre la corruzione della carne.
Iehuiah