Una strada è solo una strada,
non porta da nessuna parte.
Solo, alcune strade hanno un cuore; altre, no.
Finché un uomo segue una strada che ha un cuore,
il viaggio è piacevole perché egli è tutt'uno con essa.
Quando un uomo si accorge di avere intrapreso una strada senza cuore,
essa solitamente è già pronta ad ucciderlo.
A questo punto sono in pochi quelli che trovano il coraggio
di cambiare direzione.
Ma la scelta di continuare su una strada o di abbandonarla
deve essere libera dalla paura e dall'ambizione.
Nagual Juan Matus
La rivelazione del signor X
Il signor X era un uomo comune, come molti se ne incontrano: un tipo per bene, non eccessivamente alto né particolarmente bello, con una prorompente curiosità e una forte autocritica. Viveva una vita apparentemente tranquilla e soddisfacente, ma qualcosa continuava a tormentarlo nel profondo, una domanda a cui non sapeva rispondere: l’uomo può essere libero?
Il signor X aveva passato anni col capo chino su una mole spropositata di testi, antichi e moderni, di filosofia, cercando una risposta a quella che ormai, più che una domanda, era diventata una ossessione. Aveva frequentato gruppi di meditazione, di reiki, interpellato cartomanti e visitato santoni. Era arrivato perfino a chiedere un appuntamento al parroco della chiesa che non aveva mai frequentato, in dieci anni di vita in quel quartiere. Ma né cartomanti, né santoni, né preti avevano saputo rispondere alla sua domanda.
Quel giorno il signor X si sentiva particolarmente frustrato da una ricerca senza esito, in cui solamente la sua impotenza di fronte alle problematiche dell’uomo s’era rivelata cosa certa e inequivocabile; sapeva per certo che le sue reazioni agli eventi sembravano esulare dal suo controllo, così come sapeva che la sua stessa vita sfuggiva dalle mani e prendeva direzioni imprevedibili solo poche settimane prima. Ciclicamente la vita che si era costruito negli anni, con le sue amicizie, i suoi amori, il suo lavoro, sembrava crollare come un castello di carta, e spesso il signor X s’era figurato non già un Dio, bensì un giullare dallo strano senso dell’umorismo lanciare i dadi del Fato: gli scherzi del destino si susseguivano, e anche se qualche grande filosofo amava affermare che “homo faber fortunae suae”, egli si sentiva amaramente consapevole che, almeno nel suo caso, non era mai stato così, nonostante i suoi sforzi.
Fu così che il signor X prese la macchina, come ogni giorno, fuggendo dal calice amaro delle sue riflessioni e tentando di pensare soltanto alla strada che si stendeva davanti ai suoi occhi, al rumore del motore, e null’altro. Ma quel giorno, mentre una strana quiete spesso cercata prendeva possesso della sua mente, il signor X sbagliò strada e si trovò in un’autostrada in corso d’opera, senza uscita prima di 80 chilometri, già in ritardo per la riunione del mattino.
Che cosa accadde in quel momento, egli non seppe capirlo: una frustrazione feroce si fece strada dentro di lui, come una lotta sempre rimandata tra la volontà di essere padrone di sé e l’impotenza dell’uomo di fronte alla vita. Fu in quel preciso istante, alla guida della sua auto, che i dadi della sorte vennero lanciati, e lo scontro sempre rimandato si scatenò in tutta la sua furia: in un impeto disperato, che ignorava albergasse dentro di sé, il signor X sterzò verso il guard-rail con tutta la forza che aveva, e l’urlo che accompagnò il suo gesto fu tremendo e bestiale, come se un animale in gabbia da decenni avesse improvvisamente deciso che ne aveva abbastanza. Con la stessa velocità con cui l’istinto autodistruttivo si era manifestato, l’altrettanto violento istinto di sopravvivenza premette il pedale del freno e girò il volante. La macchina morì in mezzo all’autostrada, tra suoni di clacson e camion che lo sorpassavano strepitando.
E lì, nel mezzo di un delirio stradale, il signor X si trovò solo, shockato da ciò che in se stesso si nascondeva, un tempo sopito e ora desto, furioso, pronto ad ucciderlo per salvare la sua dignità.
Immobile nel mezzo della strada, silenzioso e incapace di pensare, il signor X fece ripartire la sua auto e telefonò al lavoro dandosi malato.
L’autostrada lo portò presto in periferia e poi in aperta campagna, senza possibilità di uscita. Infine, dopo un tempo che parve eterno e una buona dose di crisi di nervi, arrivò a un’uscita e la imboccò. Si accorse solo in quell’istante che era una splendida giornata e non doveva andare al lavoro: inaspettatamente, era libero. Spiazzato, ma libero.
Poco oltre l’uscita, si fermò sulla sponda di un laghetto da pesca dove regnava un religioso silenzio, e i pensieri ripresero possesso del suo cervello:
“Che cos’ho fatto?”, si chiese “Ho forse tentato il suicidio? Oh no, io non potrei mai… io amo la mia vita! O forse non potrei mai perché sono troppo spaventato all’idea di morire? E se non sono stato io, chi mai ha girato il volante?” . Solo in quel momento, si accorse che tremava. Qualcosa era accaduto, ma cosa? La sua mente sembrava arrivata a un punto di non ritorno, incapace di rispondere con le solite, vecchie certezze, e altrettanto incapace d’inventarne di nuove. Il signor X si accorse che l’unica cosa che sapeva, era di essere stanco. Mortalmente stanco, per la precisione.
Si sdraiò sull’erba guardando il cielo terso, e si chiese da quanti anni non si godeva la semplicità di un istante simile. “Troppi”, fu la risposta. E per la prima volta dopo molto tempo, concordò con la sua mente: la sua vita era stata un susseguirsi di mete, di priorità autoimposte, di celata sofferenza, e solo nell’istante che aveva seguito quel rischio mortale riusciva a rendersi conto di non essere – affatto – soddisfatto della sua condizione. Guardò spietatamente alla sua esistenza e si accorse che il suo matrimonio ruotava intorno al terrore della solitudine, le sue amicizie intorno all’ipocrisia; il suo era un buon lavoro, ma non era mai stato quello che voleva fare nella vita.
Stupefatto, il signor X guardò il cielo e si abbandonò a una disperazione per lui impensabile.
“Ho vissuto la vita di un altro!” continuava a ripetersi, incredulo. “Chi sono io?”
Ma nessuna voce rispose dalle nuvole, e per la prima volta nella sua vita il signor X vide con chiarezza le sue illusioni, le bugie che da sempre aveva voluto raccontarsi: sua moglie, un tempo una ragazza splendida e piena di vita, era da vent’anni una cinica arrivista. Quelli che credeva amici erano persone con cui usciva a cena, ma che nel momento del bisogno non c’erano mai stati. E lui? Il crollo delle certezze fu molto più impietoso con lui che con quelli che lo circondavano: lui era un vigliacco, un ipocrita, un verme e un bugiardo, che spesso si sorprendeva a tramare alle spalle della gente e ad augurare il peggio a chi lo circondava.
Si ricordò improvvisamente di un uomo, che da giovane amava cucinare e voleva aprire una tavola calda, che amava le moto e sognava di non dover mai chiedere scusa per essere così com’era. Un uomo con una grande passione per l’arte e per la vita, mai stanco di conoscere. Quell’uomo, l’avrete capito, era lui. Ma qualcuno gli aveva detto che fare il ristoratore era un mestiere impegnativo, e rendeva poco. Molto meglio trasferirsi in centro, studiare economia e diventare commercialista. Aveva sempre avuto un debole per la sua vicina di casa, ma qualcuno gli aveva detto che era grassoccia, e sarebbe stato stupido non mettersi con quella compagna di studi bellissima, che gli faceva gli occhioni da cerbiatta ogni volta che lo vedeva passare. E così via, e così via, e così via. Per tutta la vita.
In un impeto di rabbia, pensò di maledire tutti quelli che l’avevano costretto a seguire una strada non sua, ma quel giorno il signor X non era in vena di raccontarsi altre frottole.
“Io. Io ho scelto la mia vita.”, fu costretto ad ammettere. “Ogni singolo giorno ho scelto, ogni sofferenza l’ho procurata rinnegandomi.”
Il boccone era amaro, ma come ho già detto il signor X era un uomo dalla forte autocritica, e accusò il colpo: soddisfatto e quasi divertito dall’ilarità della sorte, si mise a guardare le increspature dell’acqua. Ciò che più lo sorprese fu accorgersi che nel mezzo di quella confessione a se stesso, l’ansia che spesso l’accompagnava era scomparsa, e una nuova bellezza sembrava pulsare nel mondo, come se fosse in pace con una terra prima ostile e un nuovo orizzonte si fosse aperto.
“Mio Dio,” si disse, “da quanto tempo l’erba non era così verde?”
“Da quando eri innamorato della vita, Stefano.”, gli rispose la sua mente.
E per la seconda volta nella giornata, Stefano concordò con la sua mente.
Una cosa sapeva, ed era la prima verità che imparava sulla sua pelle: una volta svuotata la coppa di tutte le illusioni, ciò che rimane è la realtà. E non sempre è così terribile da doverla fuggire per tutta la vita.
Nessuno seppe mai spiegarsi il motivo del repentino cambiamento del signor X, né lui si premurò di spiegare nulla perché sospettava seriamente che nessuno l’avrebbe capito e che, in fondo, a nessuno importasse. Ma da quel giorno, Stefano non chiese mai più scusa per il fatto d’essere se stesso.
Iehuiah
Accademia Kremmerziana Patavina