Sulla volontà

Nei testi esoterici, ermetici e magici si parla spesso di volontà come elemento imprescindibile per chi si approcci a un sentiero, eppure le definizioni che di essa sono date nascondono sempre una certa ambiguità: si dice che essa è differente dal desiderio, o che si forgia e si rafforza ponendosi un obiettivo e perseguendolo.
È detto anche che nell’atto di volontà non c’è alcuno sforzo, alcuna forzatura: “l’essere vuole perché vuole”; in altri testi si parla di “essere liberi di volere e di non volere”, quindi si apre la sfida al desiderio per giungere a comprendere la volontà.
Tutte queste definizioni sono chiaramente, ognuna a suo modo, complete ed esatte per chi già abbia sperimentato cosa significhi “volere”. Ma per chi ancora non abbia compiuto questa ginnastica potentissima che conduce alla volontà esse non sono che fumosi indizi, simili a descrizioni del profumo del pane fatte a chi non l’ha mai odorato.
In questo scritto vorrei tentare di dare alcuni spunti pratici e mettere in luce alcuni aspetti della volontà che non mi sembrano così scontati, perché nella vita iniziatica mentire a se stessi su questo punto o fraintenderlo si rivela poco intelligente: gli effetti non si manifestano se la volontà non è stata portata alla luce.
Un primo aspetto, già accennato, che appartiene alla sfera della volontà, è l’attenzione: per iniziare a muoversi nella sfera del volere bisogna avere l’obiettivo voluto sempre davanti agli occhi e dirigere costantemente le proprie energie verso di esso. Questa è la prima indicazione, ma anche la prima ambiguità. In particolare, il fraintendimento cade sulla scelta dell’obiettivo: “io voglio vincere al lotto” non è volontà, è desiderio di denaro senza lo sforzo di lavorare abbastanza per ottenerlo. Da obiettivi di questo tipo non emergerà mai la forza necessaria per ottenere la cosa bramata. Questo viene chiarito dalla seconda indicazione sulla volontà: la volontà è differente dal desiderio, che si limita a concentrare la propria emotività e aspettativa sulla cosa bramata.
Sebbene molti stregoni oggi siano ingenuamente convinti di poter avere, con una “volontà allenata”, qualunque cosa - che se la siano guadagnata o meno - questo non corrisponde al vero: in Natura esiste la legge di causa-effetto, per cui se il contadino non getta il seme, può anche volere che la pianta cresca, ma non crescerà. Questa non è volontà, è ignoranza delle leggi. Volere è agire.
Il primo modo, indiretto, di approcciare la volontà è la disciplina, in particolare la disciplina nel desiderio. Questo ci porta ad un punto che spesso non è messo in luce come meriterebbe: si dice che “il desiderio impedisce il volere”. Questa non è una legge o un assunto dogmatico, è una constatazione di fatto che ha un suo perché, e per capirlo dobbiamo farci una domanda: chi desidera e chi vuole? Possiamo dire che il “piccolo io” si muove per mezzo di desideri, mentre l’Io, l’essere che emerge lentamente lungo un percorso di purificazione e che oggi è occulto, si muove e agisce per mezzo della volontà pura.
Quando il “piccolo io” desidera qualcosa, non ha in sé la forza necessaria per ottenere la cosa bramata: il “piccolo io” pretende che la cosa bramata cada dal cielo senza lo sforzo reale per ottenerla. Egli dice: “io voglio essere felice, ne sono assolutamente certo, è questo ciò che voglio!”. Poi continua a vivere la vita come prima, non si mette in gioco o compie azioni stupide per perseguire quella felicità, come ad esempio accendere una candela o comprarsi un nuovo giocattolo: compie azioni di poco conto, inidonee allo scopo, ed è convinto di aver fatto la sua parte.
L’Io non si comporta in questo modo: se si pone un obiettivo c’è sempre una ragione che lo spinge ad agire e a muoversi in quella direzione. I suoi obiettivi valgono qualcosa, sono vivificati e dispiegano la forza necessaria per perseguirli: nell’obiettivo stesso che si pone l’essere purificato è insita la forza necessaria. E questa forza non va sprecata, ma viene investita nell’azione.
Finché è il “piccolo io” a desiderare, quindi, non può esserci volontà: questa appartiene alla sfera dell’Io.
Capisci ora perché è difficile “parlare” della volontà: quando essa si manifesta non se ne può parlare, semplicemente agisce. Non esiste un concetto di volontà: esiste un Essere-che-Vuole. In ciò troviamo la terza indicazione dei testi: “l’essere vuole perché vuole”; non c’è alcuno sforzo in questo. Un uomo non purificato non può volere, ma può lavorare sul primo aspetto della volontà, il suo primo gradino: la disciplina.
Tutte le tecniche tramandate dai vari ordini religiosi e iniziatici – il digiuno, la castità, le preghiere da farsi a una certa ora, i rituali minuziosi – hanno come fondamento la disciplina, oltre all’apertura della percezione. Intendo il rituale, qui, come un insieme di atti fisici diretti a mettere il corpo lunare in uno stato particolare di esaltazione e di innalzamento verso un obiettivo non fisico: se tuttavia questo innalzamento del lunare non si produce (e nei primi tentativi non si produce), il rituale rimane un atto puramente fisico e si tratterà di semplice disciplina. Questa non è da intendersi come sacrificio o abnegazione, ma come un atto di forza dell’uomo che ha come obiettivo il volere, e sa quindi che deve togliere forza ai desideri effimeri, metterli alla prova, minarne le fondamenta. Nel digiuno, ad esempio, non ci si porta alla fame: si mangia lo stretto necessario. Non è il corpo a soffrire per qualche patimento, è il “piccolo io” a dimenarsi perché è abituato a stare sul palcoscenico 24 ore al giorno. Noi invece vogliamo ricavarci uno spazio, perché anche l’Io ha diritto di vivere. Questa ricerca di uno spazio affinché il Sé profondo possa emergere causerà una lotta interna che dobbiamo vincere: bisogna partire dall’intento risoluto di non ammettere sconfitte.
A me sembra che non si possa parlare di volontà senza mettere prima il piede su questo gradino.
Ho scritto prima che “un uomo non purificato non può volere”, e l’inizio della purificazione rientra nella sfera della disciplina: è il contadino che ara la terra, che prepara il campo ad accogliere il seme, e se tu sei novizio all’arte dell’agricoltura qualcuno potrà assicurarti che ciò è necessario e che le piante poi cresceranno, ma tu non ne avrai certezza. Rammento qui di sfuggita che il termine “iniziato”, nei geroglifici egizi, è reso con “agricoltore”, e infatti così è anche nella via: capisco che potrei assicurarti qualunque cosa per indurti a lavorare duramente su te stesso, ma so anche che sarebbe inutile e dannoso chiederti di credere in me o in altri autori, quindi non posso che dirti “prova: lavora. Ara il tuo campo. Lavora duramente, lavora ogni giorno. Se c’è una legge di causa-effetto vedrai i risultati e così constaterai anche l’esistenza della legge.”
Come lavorare?
Ci sono azioni inutili e azioni utili. Entrambi i tipi di azioni sono utili al fine della disciplina.
Un tipico esempio di azione inutile, che saggia la propria forza, è il seguente: ogni mattina, all’alba, alzati dal letto e sposta un sasso, un bicchiere, un piatto, qualunque cosa. All’inizio lo metterai vicino al tuo letto e ogni giorno lo porterai più lontano. Prosegui ogni giorno all’alba per un mese, e fa’ che niente si metta tra te e il tuo scopo, né sonno né pigrizia. Pensaci: non ti costa nulla in fondo, ci metti poco tempo, ma quante abitudini smuove! Così tu saprai, la sera prima, che se rimani sveglio fino alle due di notte, al mattino ti costerà fatica alzarti per spostare il tuo sasso. Per un mese vivrai la tua vita in funzione di quel sasso. Se dormi fuori casa, sai che dovrai ricordare di portarlo con te. Se tu riesci a trovare in te la forza per compiere un esercizio inutile, la tua natura si nutre di quella forza. Abbi sempre davanti agli occhi il perché lo fai: il tuo fine reale non è quello di spostare il sasso. Se non avrai davanti agli occhi un obiettivo più grande, non ti alzerai dal letto. Potresti farlo perché, ad esempio, tu vuoi un giorno poter diventare un Essere-che-Vuole, vuoi diventarlo con tutto te stesso, e sai quindi che questa prova ti è necessaria per poter proseguire. Allora ti alzerai dal letto con risolutezza.
Un esempio di azione, che ha anche una sua utilità, è invece questo: metti attenzione in ciò che fai.
Sii presente a te stesso, non perderti in pensieri inutili, non parlare continuamente nella tua mente: sii focalizzato nel presente, nella realtà e in ciò che stai facendo. Ogni azione della tua vita può essere condotta in due modi: può essere un atto vuoto o può essere un atto vivificato. Per “atto vuoto” intendo qui un atto compiuto con sforzo. Allenati a trovare una finalità più grande in ciò che fai. Quando ti vesti, pensa a dove stai andando, mettiti in armonia con quel luogo già dal semplice atto di vestirti. Quando usi le parole, pensa all’effetto che vuoi che abbiano. Pensa sempre alla causa che metti in moto con le tue azioni e all’effetto che avranno.
Potresti pensare che l’utilità di questi esercizi stia semplicemente in quello che ho messo in luce, eppure dovrei anticiparti che non è così: queste sono semplicemente le istruzioni per accendere un macchinario dalle molte possibilità, che funziona secondo un moto armonico in cui ari la terra, semini e raccogli. La forza che tu metti nell’azione ti porta di per sé verso l’obiettivo più grande che ti sei prefissato e per cui agisci.
Con questi due esempi, la forza e l’attenzione, credo di essere giunta alla fine di questo breve excursus sulla volontà, e non mi rimane da dire che una cosa: non sottovalutare l’obiettivo più grande che ti poni per trovare la determinazione in ciò che fai; è dal connubio tra forza accumulata e obiettivo che un giorno potrai dire “io voglio, dunque agisco”.

                                                                                                          Iehuiah