L'enigma della sfinge
“Ma dimmi, maestro, come si compie il viaggio dell’uomo attraverso tutti questi mondi?”
“Vedi tu” rispose Osiride “una semenza luminosa che dalle regioni della Via Lattea
si sparge nella settima sfera? Sono le anime in germe. Vivono come leggeri vapori nella regione di Saturno, felici, spensierate, ignare della loro beatitudine. Ma, cadendo di sfera in sfera, acquistano un involucro sempre più pesante. In ciascuna incarnazione, acquistano un nuovo senso corporeo, consono all’ambiente dove vivono. La loro energia vitale aumenta ma, via via che entrano in corpi più spessi, perdono il ricordo della loro origine celeste. Si compie così la caduta delle anime provenienti dall’etere. […] Ma osserva, i vapori si diradano, le sette sfere ricompaiono nel firmamento. Guarda da quella parte. Vedi quello sciame di anime che sta cercando di risalire quella regione lunare? […] Una volta giunte lassù, le anime ritrovano l’ottica delle cose divine.
Ma questa volta non si limitano a rispecchiarle nel sogno di una sterile felicità:
se ne impregnano con la lucidità di una consapevolezza illuminata dalla sofferenza,
con l’energia di una volontà temprata dalla lotta.”
(E. Schuré,“La Visione di Ermete”)
Così la dottrina sposa la leggenda nello spiegare il destino umano: una discesa nelle profondità, tra le spire del Serpe, e una scalata delle sfere immense in cui l’Uomo acquista la dignità dei Titani e dei Giganti, dei misteriosi Nephillim della Genesi. Ma al di là di questi racconti leggendari c’è una battaglia concreta, che non ha mai fine, e che accompagna il passo dell’uomo lungo la strada per la conquista della sua Risposta: è quella contro il dubbio, la paura, il dolore e gli inganni che ognuno tesse in se stesso e, di conseguenza, all’esterno di sé. La lotta tra l’aspirante e il suo serpente è lunga e aspra. Strappargli di bocca la verità sull’origine dell’uomo e il suo fato non è impresa da poco.
Questa battaglia fa scendere l’uomo nelle profondità della terra (come nel famoso acrostico - VITRIOL - "Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem") e di lì egli si scopre indefinitamente perfettibile (secondo Platone, infatti, “l’uomo può tendere indefinitamente al Noumeno”): ci sarà sempre qualcosa d’incompleto, qualcosa da superare, perché la stessa parola “Iniziazione” denota un inizio… la fine del Cammino non è dato vedere su questa terra, perché il Sentiero è fatto per continuare oltre la materia. E cosa vi sia oltre, e se queste “verità” della Via siano tutte illusioni, nessuno in sincerità può dirlo se non per fede.
Al principio di un cammino, la porta lunare riverbera la sua luce illusoria, e davanti a lei file e file di aspiranti la fissano, abbagliati, senza trovare la toppa in cui inserire la chiave, convinti di vedere presenze e fare incontri meravigliosi nei riflessi della sua luce.
Una volta calpestata la testa del serpente questa porta si apre, eppure non è la fine: è l’inizio.
La libertà, in principio, è come la terra che frana sotto i piedi: non più punti di riferimento, non più certezze all’esterno di sé. I costumi del mondo appaiono come un’immagine remota della vita che fu; la sua lingua superficiale suona come straniera. Solo nella quiete della natura, nel silenzio, il “linguaggio degli uccelli” parla donando pace e ristoro al nuovo Straniero, che all'esterno non appare cambiato se non nella vibrazione che effonde, nel magnetismo che irradia.
Al di là della soglia si trova un’immensità da esplorare, incomprensibile e muta come la Sfinge.
È la Natura spogliata dell’illusione; appare l’Iside svelata.
È la sposa di Iod, Eve, che unendosi a lui in amplesso sottile genera il Verbo di Creazione: iod-he-vau-he, l’enigma che racchiude i quattro elementi, i due principi, il ternario (Sposo, Sposa e Creazione) e l’Unità misteriosa riuniti in una sola cosa. Questo, quando i battenti della soglia si schiudono, non è che un vago sentore di un’intuizione più grande. Tale fu la rivelazione di Mosè, appresa nel Tempio di Osiride, della quale possiamo soltanto immaginare i misteri profondi.
Pitagora stesso, che si dice apprese la dottrina della sapienza in Egitto, nella scrittura sacra dei numeri identificava il 4 col 10 (1+2+3+4): esso è il primo numero che, rappresentato graficamente in forma di piramide, racchiude la scintilla dell’Unità.
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Quattro, come i raggi che emana la Virtù Prima. Dieci, come l’Uno risorto e portato ad esaltazione dopo un ciclo di nove cifre, ritrovando lo Zero in cui inserire il seme per auto-rigenerarsi. Guardando la figura pitagorica, c’è chi scorgerebbe il triangolo che racchiude l’Occhio.
Molti credono che per avanzare nel Cammino si debba comprendere la Sfinge, la chimera leggendaria dalla testa d’uomo, le ali d’aquila, gli artigli di leone e i lombi di toro che scruta la distesa infinita di dune bagnate dal sole con il volto imperscrutabile della Gioconda. Ma comprendere il suo sorriso ineffabile è impossibile se non si diventa la Sfinge stessa: un essere nuovo e estraneo a se stesso viene generato dalla Visione, che infonde in lui la sua stessa sostanza. Ecco la consustanzialità del Figlio rispetto al Padre. Ecco Ermete quando dice “io sono stato rigenerato nell’Intelletto”, dove Intelletto è una parola simbolica che adombra il Corpo di Luce… un nuovo corpo che compenetra la natura del primo, che sente, che pensa, che parla, che vive nell’uomo. Ecco il principio della misteriosa “bilocazione”: l’uomo è sempre Uno, eppure può muoversi oltre ciò a cui è abituato, senza “uscire” dal proprio corpo, che non è una prigione di carne come si vorrebbe far credere: è ciò che gli permette di avere un’individualità.
Così, Maria genera il Figlio consustanziale al Padre e alla Madre, che in principio è infante perché, come sempre, “natura non facit saltus”. L’infante ancora non può agire, ma può partecipare.
Di lì si dipana una prima strada, una prima visione. Eppure tutto ciò avviene sempre nell'Unità- Uomo. Un nuovo linguaggio si appalesa all’intelletto, che non è rivestito di parole: è un linguaggio concettuale, esperienziale, in cui le cose vengono conosciute nella loro natura essenziale. Ecco che “acqua” non è una parola, non è ciò che coi cinque sensi si percepisce come acqua: è il suo “ente” che si rende accessibile alla conoscenza.
È la sua essenza che viene alla luce.
Quando l’uomo ordinario compie un atto di volontà magica, ha bisogno di parole per dare forma a ciò che vuole: deve esprimerlo per costruire un ponte tra l'Intelletto e la mente razionale. C’è chi per aiutarsi a fare questo usa le corrispondenze della magia cerimoniale, senza riuscire a capire che non sono quelle a far avverare quanto voluto: in questo caso, il meccanismo che opera rimane occulto e passa in secondo piano, confondendo la causa operante – e nascosta – con lo strumento.
Bisogna dare forma a una sostanza con un atto di volontà che la impregni.
Questo atto di volontà ha bisogno di parole fino a che non si è in grado di emanare il Pensiero nella sua purezza, senza filtri di linguaggio alcuno. Se sia possibile raggiungere tali vette in un corpo umano, è tutto da verificare.
Una strada di cui gli Autori hanno scritto solo fino a un certo punto, solo fino a questo primo varco, perché il resto è incomunicabile… non per un segreto arcano ma per la sua natura intrinseca, estranea alla lingua degli uomini, che non conoscono il Linguaggio concettuale. Vengono in aiuto il simbolo, l’analogia, l’allegoria, ma come disse Dante: “intender non lo può chi non lo prova”.
L’unica cosa che si può dire del varco che sta oltre la Luna, è: più si eleva la Visione dell’Incommensurabile, più sottile diviene la Trasmutazione dell’essere.
I limiti della Trasmutazione non esistono o, meglio, sono connaturati nella perfettibilità dell’individuo, sono dati dall’ampiezza di ciò che il suo sguardo può abbracciare.
In definitiva il limite è spiegato dall’antico detto: Pour savoir ce qu’il est, il faudrait être lui même (per conoscere cosa sia una cosa, bisogna essere la cosa stessa).
Tutto ciò che Amerai, potrai essere.
Iehuiah
Accademia Kremmerziana Patavina