Le radici dell'astrologia

Nel II capitolo de La Porta Ermetica Kremmerz prende in esame le quattro scienze occulte che fanno parte della tradizione ermetica: magia, alchimia, astrologia e divinazione. Mentre per le prime due fiumi d’inchiostro sono stati spesi per secoli e anche su questo sito, sicché il problema della loro interpretazione in ambito ermetico non si pone, l’astrologia e la divinazione rimangono per il grande pubblico termini oscuri, forse colorati dalla suggestione degli oroscopi sui giornali e del lavoro delle cartomanti.
Lo scopo di questo sito, ormai lo si sarà capito, non è quello di fornire gli ennesimi testi simbolici e inintelligibili che permeano il panorama esoterico con sfoggi di cultura di vario tipo, ma quello di fornire ai lettori spunti interpretativi e chiarimenti che li aiutino a orientarsi nel panorama ermetico, fornendo loro un aiuto per la lettura e l’interpretazione dei testi classici.
A questo proposito dobbiamo capire cosa si intenda, in ambito ermetico, col termine “astrologia”: ad alcuni, avendo una nozione moderna di essa, è parso strano sfogliare le Lunazioni e rinvenirvi nomi arcaici e descrizioni di aspetti archetipali ed “energetici” che sono pressoché sconosciuti all’astrologia odierna, ancorata al tema natale individuale e alle previsioni per il futuro (che il CICAP è solito svergognare pubblicamente ogni anno).
L’astrologia genetliaca è simile a una corda tesa tra due necessità: compiacere le aspettative degli scettici, da un lato; compiacere le aspettative dei creduloni che si rivolgono a lei invece che a medici specializzati, dall’altro. A questo si è ridotta, tranne rari casi.
V’è anche da tener presente che la dimensione in cui si muove l’astrologia moderna non è quella del cielo reale, perché essa non tiene conto del fenomeno di precessione degli equinozi, e verrebbe anche da chiedersi con che criterio si presuma che la divisione dello Zodiaco in spicchi di 30° possa ritenersi esatta, dal momento che alcune costellazioni occupano 40°, altre 20°, e così via… e in effetti l’astrologia individuale, tesa a offrire al singolo l’interpretazione del cielo al momento della sua nascita, è un tardo sviluppo di questa disciplina e la sua prima applicazione al tema natale di un individuo risale al 234 a.C. In questo primo cielo natale, di origine babilonese, troviamo i pianeti domiciliati nei vari gradi dei segni zodiacali.
In epoca più antica, e proprio questo è il punto, la dimensione astrologica era collettiva e non si curava affatto della carta natale dei singoli: quando gli egizi si accorsero che la piena del Nilo coincideva col sorgere di Sirio, essi iniziarono ad annotare i moti della stella in relazione ai moti solari, dando così vita al “calendario delle epoche”, o “via delle anime”. Il sorgere dei due astri (Sirio e Sole) nello stesso momento, cioè il sorgere eliaco di Sirio, avveniva a quel tempo circa al solstizio d’estate, segnando la rigenerazione della fertilità della terra. Eppure, questo evento aveva una portata ben più grande: in base ai cicli di Sirio e del Sole, gli Egizi costruirono un calendario particolare, che potremmo definire “calendario delle epoche”, che cercherò di semplificare.
Una volta ogni 1460 anni l’anno vago (365 giorni del calendario civile) coincide col vero anno solare, di 365,2423 giorni. Questo arco di tempo, di 1460 anni tra due congiunzioni, è l’anno sothiaco, diviso a sua volta in 36 spicchi, chiamati “decani”, che nulla hanno a che vedere con le 12 costellazioni essendo piuttosto “porzioni di cielo” di 10° ciascuna che s’iniziavano a succedere dal sorgere eliaco di Sirio, il primo giorno dell’anno. All’interno di ogni spicchio sono contenute diverse stelle appartenenti alle costellazioni reali, che girano in questa sorta di “ruota del cielo” matematizzata (le costellazioni, come abbiamo avuto modo di notare anche prima, non occupano necessariamente i 30° attribuiti ad ogni segno zodiacale). Cielo reale e cielo “matematico”, quindi, giocano fra loro in una ruota di vibrazioni che si ripetono solo ad ogni nuova epoca.
Secondo questo sistema decanale, ogni anno sothiaco era diviso in 36 fasce di 40,56 anni ciascuna, e queste fasce erano governate da un decano al cui interno si trovavano alcune stelle notevoli: insieme, i due aspetti determinavano il carattere degli anni che cadevano sotto il loro dominio, tenendo anche conto del fenomeno di precessione degli equinozi. Per queste ragioni a Sirio fu dato l’appellativo di “via delle anime”: perché i suoi fenomeni celesti fissano i caratteri delle epoche umane.
Questo fatto ci dimostra come gli antichi fossero interessati a conoscere i moti stellari in relazione non solo ai tempi dell’agricoltura, all’orientamento notturno dei naviganti e alle piene dei fiumi, ma anche in relazione alle forze che si sarebbero esplicate nel corso del tempo e che avrebbero potuto causare catastrofi naturali, mutamenti sociali e via dicendo: essi quindi avevano una concezione più ampia dei fenomeni celesti, che andava al di là degli aspetti planetari riferiti al singolo individuo.
Già dal Paleolitico superiore (16000 a.C.) iniziano a essere stilati i primi calendari astrologici: il cielo venne diviso in 25 costellazioni, a loro volta suddivise in tre mondi: il mondo dell’Alto, il mondo di Mezzo e il mondo del Basso. Questa tripartizione dei mondi fu conservata dalle culture sciamaniche nella costruzione della Ruota di Medicina, che pur essendo un Cerchio si dipanava idealmente a spirale attraverso i tre mondi.
Uno dei primi popoli ad occuparsi di redigere un calendario “moderno” fu quello di area mesopotamica. I primi segni di una civiltà Babilonese sviluppata si collocano intorno al 2700 a.C., probabile epoca di fondazione della città di Ur, che divenne la capitale del regno neosumerico nel 2100 a.C. Se ci si ponesse la domanda “chi erano i popoli di area mesopotamica?”, ci si troverebbe di fronte a una lunga storia di invasioni e a una compagine di popoli profondamente diversi tra loro. In questo articolo, dunque, cercheremo di semplificare al massimo la questione, dopo aver risolto una questione preliminare. Poiché Kremmerz, nelle sue opere, si riferisce molto spesso ai “caldei”, è bene qui aprire una parentesi sul punto: a chi si riferiva con questo termine?
Per “caldei” si intende oggi il popolo che in epoca tarda (dal XIV sec. a.C.) era presente in area mesopotamica. La tesi moderna vuole che abbiano invaso quei territori nel XIV secolo a.C. e abbiano sottratto Ur ai sumeri.
All’epoca in cui scriveva Kremmerz, tuttavia, l’archeologia non conosceva questa distinzione poiché non erano presenti i mezzi tecnologici odierni per la ricerca e molte traduzioni erano ancora in corso, quindi identificava sotto il termine generico di “caldei” i popoli già presenti in area mesopotamica: sumeri, akkadi, cassiti e via dicendo. Questo tipo di archeologia è tipica dell’ondata di entusiasmo post-napoleonica derivante dalla campagna d’Egitto. Si suppone quindi che Kremmerz, col termine “caldei”, alludesse genericamente, secondo le concezioni archeologiche della sua epoca, ai popoli di area mesopotamica: questo va tenuto presente nel momento in cui si leggano i suoi testi, e quelli dei suoi contemporanei, e vengano rinvenuti nomi di divinità e di stelle attribuite ai “caldei”, quando in realtà si tratta del pantheon sumero-akkadico, o di altri presenti nell’area in questione. Il culto, infatti, subì profonde modificazioni via via che nuovi invasori si installarono nel territorio fra il Tigri e l’Eufrate.
Per “babilonesi” qui intenderemo quella cultura che operò una sintesi tra i sumeri e i dominatori akkadi, seguendo il filone delle moderne concezioni archeologiche. Per “epoca cassita” intenderemo la dominazione cassita.
Tornando alla nostra astrologia, i babilonesi furono i primi ad affrontare il tema dei moti delle stelle e delle eclissi. Spesso erano proprio i sovrani a richiedere loro di fare un elenco completo delle previsioni astronomiche dell’anno in corso, e oggi sappiamo che spesso la previsione di un’eclissi poteva essere adoperata dai regnanti per esercitare il proprio potere e fascino sul popolo.
Non disponendo di mezzi tecnologici sufficienti, gli astronomi di corte si basavano sui moti di alcune stelle di riferimento per calcolare le opposizioni dei pianeti nel corso del tempo; intuirono altresì i moti dei pianeti veloci e stilarono su delle tavolette alcune effemeridi. È bene tener presente che le conoscenze matematiche di quegli astronomi potevano ben supplire alla mancanza di mezzi tecnologici: stiamo infatti parlando del popolo che introdusse l’algebra. I loro calcoli sul mese sinodico lunare erano pressoché perfetti: lo scarto era di 30 secondi ogni 5000 lunazioni.
Già nel 1646 a.C., al tempo di re Ammisaduqa, abbiamo testimonianze sull’osservazione di Venere.
Sempre ai babilonesi è da attribuirsi la tavoletta di epoca Cassita (1550-1320 a.C.), forse copia di un documento più antico, in cui si riflette su “quanto una stella si trova dietro l’altra?” parlando della posizione delle Pleiadi, Orione e Sirio. Un’altra tavoletta della stessa epoca riporta una suddivisione del cielo in tre zone da dodici settori, in cui ogni zona contiene pianeti e costellazioni, numerati per gradi in una sorta di mappa. Alle costellazioni e ai pianeti erano già attribuiti dei nomi.
Ciò significa anche che astrologia e astronomia sono state, per millenni, una scienza unica, e che oltre all’istinto religioso gli antichi avevano anche una concezione del cielo come entità tridimensionale, ben lontana da quella concezione mistica e puerile che si vorrebbe attribuire loro.
Non intendo dilungarmi oltre in questa introduzione, tuttavia, e sfociare nella costruzione graduale del sistema astrologico che ancora oggi impieghiamo; quello che qui interessa è comprendere perché l’astrologia in ambito ermetico sia diversa dall’astrologia genetliaca del tema natale, e la risposta più semplice potrebbe essere la seguente: perché si basa su concezioni e finalità diverse.
Da questo partiremo.
Siamo abituati, al giorno d’oggi, a considerare il tempo come una “cosa” misurabile e identica per tutti, e poco importa che Einstein e la fisica quantistica abbiano dimostrato il contrario: il tempo per noi è scandito dall’orologio e dal fatto che alle 8 bisogna essere al lavoro. Non così nella concezione antica, in cui i cicli umani erano intimamente legati ai fenomeni celesti: non ci si incontrava “domani alle 15:30”, ma “alla prossima luna piena”, o “quando il sole sarà alto”. Già questo dovrebbe farci riflettere sul fatto che il tempo così inteso, cioè ciclico e legato a eventi naturali e fenomeni celesti, influiva certamente anche sull’approccio alla vita quotidiana, in piena armonia coi cicli naturali e scandita da questi. Ogni anno gli uomini celebravano la rinascita della terra, seguendo quella simbiosi con la natura e la vegetazione che Mircea Eliade colloca, come credenza, nella scoperta dell’agricoltura.
Queste forze Archetipali si manifestavano nei cicli naturali, che dagli uomini erano appunto vaticinati attraverso il sorgere di alcune stelle; abbiamo ricordato Sirio per le piene del Nilo, ma altrettanto si potrebbe dire delle quattro stazioni solari legate alla ruota dell’anno e alle maggiori festività, che ancora oggi si rifanno a fenomeni astronomici notevoli: il Natale cristiano si situa in concomitanza col solstizio d’inverno, che anticamente corrispondeva al periodo dei Saturnali e alla vittoria della luce sulle tenebre, poiché da quel giorno la luce iniziava a rifarsi strada emergendo dalle tenebre dell’inverno; la Pasqua coincide con la prima domenica dopo la luna piena che segue l’equinozio di primavera. Nelle stelle avevano dimora gli Dei ed esse costituivano non già gli Dei stessi ma, se così possiamo dire, la manifestazione fisica e visibile di forze Archetipali e occulte. Usando un termine romantico potremmo definirle “il corpo degli Dei”.
Sugli aspetti dell’armonia delle sfere si soffermò a lungo Pitagora, che a quanto sia concesso sapere dalle fonti che ne parlano fu un vero astrologo nel senso più puro del termine, in un’epoca in cui l’astrologia era stata matematizzata e razionalizzata dal pensiero greco. È pressappoco dai greci in poi, infatti, che astrologia e astronomia diventano due scienze distinte: la razionalizzazione del cielo, sempre più profondamente incasellato e legato da geometrie inviolabili e irrealistiche, portò le due discipline sempre più lontane da quello che furono in principio, cioè il fondamento della filosofia e dell’intuizione di un’analogia profonda tra macro e microcosmo.
Ma, ancora in epoca medievale, si bisbigliava che l’astrologia fosse il fondamento di tutte le scienze e la più profonda, e nelle discipline magiche i richiami ai “giusti tempi” indicati dagli astri rimasero sempre e rimangono ancor oggi: basti pensare anche solo alle famose “ore planetarie”, impiegate dai cerimonialisti, o alle cerimonie ancora presenti, sia in massoneria che in ambito ermetico, nel solstizio d’estate, o ai riti di primavera, o al fatto che in ermetismo sia più importante conoscere la data di concepimento di una persona piuttosto che il suo segno zodiacale, e vi siano calcoli tuttora in uso (ad esempio la Trutina hermetis) per determinare con sufficiente precisione la data del concepimento in questione. Altri esempi dell’importanza della connessione con gli astri intesi come vibrazioni archetipali (o Idee, come li chiamerebbe Platone) li abbiamo più o meno in tutti i rituali magici, alcuni dei quali seguono le corrispondenze lunari, altri quelle solari, e hanno come finalità non dichiarata quella di mettere l’uomo in comunione con queste forze cosmiche vive e operanti.
Già da questi sintetici esempi si può notare che nei semplici nomi e glifi dei pianeti che governano ore o giorni, o che presiedono ai segni o che colorano le lune, l’ermetista vede e sente le Forze Vive della natura, attive e operanti nelle loro onde di crescita e decrescita, conflitto o collaborazione; e ciò non tanto in conseguenza di un calcolo su un foglio di carta, ma giacché quegli stessi mutamenti sono parte di lui, quelle stesse Forze Vive esistono in lui e come un diapason esse vibrano nella musica delle sfere.
Queste stesse Idee, Forze Vive o Dei sono infatti parte attiva delle due grandi discipline arcaiche: la cosmogonia e la mitologia, la prima scienza delle più alte trasmutazioni, la seconda esplicazione per parabole sulla natura di tali forze.
Ma scopo di tutte queste scienze occulte, indissolubilmente legate l’una all’altra, è pur sempre quello di riconoscere, risvegliare e riordinare queste forze nell’animo umano e porle in perfetta armonia con la Legge del Cosmo.
“Se vuoi attirare la forza” scriveva Kremmerz “invoca ed evoca Ariel e l’angelo te la porta. […] Bisogna diventare un piccolo Orfeo per attirare a sé gli atomi invisibili della forza generante che è la vita universale.”
Ci troviamo così proiettati in una dimensione olistica dell’esistenza, in cui la terra e la natura seguono i ritmi scanditi dal cielo, e gli uomini a loro volta si adeguano alla danza osservando il giusto tempo per ogni cosa. Da un’esistenza così concepita, in cui la visione di un’armonia universale - con le sue leggi e la sua intrinseca giustizia - suppliva al terrore e all’insicurezza ogniqualvolta questa stessa natura decideva di scatenarsi e distruggere villaggi o gettarli nella carestia, poteva non derivare un istinto profondamente religioso, un sentimento di fusione in quella che Pitagora chiamò “harmonia mundi”? Evidentemente, le due cose vanno di pari passo: l’astrologia assurgeva così a dimensione cosmica dell’istinto magico ed essa stessa fondava la filosofia nella sua ragione d’essere, che era appunto l’armonia dell’uomo, della natura e dei cieli.
Da questo punto di vista, gli studi moderni sull’astrologia esperienziale riecheggiano concezioni arcaiche della connessione tra micro e macrocosmo cui l’uomo può avere accesso se ricerca e ricostituisce lo stato di armonia – oggi latente – che ha dentro di sé ormai sotto forma di istinto sopito. In effetti l’interconnessione dei piani dell’esistenza era uno dei postulati fondamentali di un tale tipo di astrologia, una convinzione talmente radicata che perfino nelle tombe dei faraoni il Libro delle Porte, cioè il viaggio della Barca Solare attraverso le 12 costellazioni, era riprodotto come se, svanita la vitalità del corpo fisico, ciò che rimaneva fosse quella stessa Legge armonica intravista e visceralmente vissuta durante l’intera esistenza, cui il Faraone andava a ricongiungersi e sulla quale, avendola vista operare per tutta la vita, non aveva dubbi. Plutarco stesso, così come altri storici greci, si meravigliò molto spesso e parlò – in un misto di incomprensione e rispetto – del fatto che tutti gli egiziani, perfino quelli dei ceti più bassi, vivessero ogni lato della vita come un eterno rito, e si chiedeva da dove mai venisse loro una tale “devozione religiosa”. Se si trattasse davvero di devozione religiosa, o di perpetuo incanto causato dal vivere in contatto con l’harmonia mundi, oggi non è dato sapere. Certo è che, se contemplate il cielo e la terra con occhi nuovi e provate a sentire la connessione e l’analogia tra il microcosmo e il macrocosmo, potrete provare a scoprire da voi quali strani stati di rapimento possano prodursi nel profondo, risvegliando un istinto sopito.

Iehuiah