Catechismo della prima magia 3
TERZA PARTE
La purità dell'Ariel
XV. Il bene e il male in Magia dipendono dalla purità e dalla giustizia dell’operatore, più che dai mezzi di cui l'operatore si serve.
Ordinariamente molti confondono la magia naturale con la magia nera, non ammirando né lo scopo né la giustizia a cui un operatore si ispira e fermandosi ai mezzi che egli mette in azione per produrre l'effetto voluto.
Ma questo è un pericoloso gioco di parole, perché la magia nera omagia dell’ombra non deve assolutamente sempre confondersi con la cacomagia o magia del male. In un libro di filosofia sarebbe preso a legnate chi volesse sostenere che il ferire un uomo con un coltello è opera umanitaria, non pertanto i chirurghi ogni giorno feriscono di coltello gli uomini per dar loro la salute. Così della magia operatoria, la quale è pura o impura, è bianca o nera secondo la purità o l'impurità del maestro operante e non dei mezzi di cui egli si serve.
Magia bianca è magia angelica: l'angelo deve star nell’uomo che fa la magia; la magia nera invece è demoniaca, perché il demonio è nel mago; perché in lui è incarnato un diavolo tal quale lo dipinge l'iconografia cattolica. In quanto ai mezzi, lo studioso comprenda che la magia naturale può essere un coadiuvante della magia divina, nel senso che qualunque mago bianco può servirsi della magia naturale.
Il nome di Magia Nera, per il significato satannico attribuitovi dall'uso, non può essere né discusso né adoprato ora in altro senso, appunto per non generare nelle menti dai semplici confusione peggiore: ma il discepolo deve comprendere che il Nero della Magia deve stare nell’ombra generante dell’occulto invisibile, secondo le antiche cerimonie iniziatiche delle religioni morte o trasformate. Chi legge e studia attentamente quanto io ho scritto nella prima parte di questi Elementi di Magia, badi che io, in diversi luoghi, ho fatto notare che tutti gli atti generativi sono occulti in natura: occulti cioè nell'ombra, cioè nel nero per mancanza o privazione necessaria di luce. Il seme nella terra, il seme fecondante l'ovulo negli animali, il principio generativo nei corpi in fermentazione, siano esempi analogici. Il sacerdozio magico, fatto a somiglianza della natura viva, ha fatto perfino le parole divine all'imitazione del nero occulto nella generazione delle cose visibili. Ho detto in altra parte perché il nome del Dio unico non si pronunziava dai sacerdoti innanzi al popolo profano, perché la pronunzia del nome vero di Dio è un'evocazione del potere divino nell'ombra invisibile sulle cose visibili e tangibili - e tutto il paramento sacerdotale degli antichi e moderni sacerdoti delle antiche religioni prende la sua simbologia dal potere generativo degli organi umani della generazione. Il bastone del vescovo e lo scettro reale insegnano lo stesso che la mitra ingemmata dei vescovi e lo zucchetto dei preti. La messa cattolica da questo punto di vista si confonde con la messa dell’Agni del rituale bramanico. Le profanazioni sono degli attentati alla generazione occulta, e il mezzo di cui si sono serviti tutti i distruttori delle religioni è stato identico sempre, cioè di mettere alla luce ciò che doveva restare nell’ombra del santuario; come un contadino inesperto il quale, per scavare dalla terra il seme che appena sboccia, lo condanna a perire. Gli illuminati in tutte le epoche non sono che violentissimi contro i profanatori, i quali riescono satannici nel senso empio della parola, perché agiscono contro le leggi di natura, cioè mettono in luce ciò che nei visceri dell'occulto si stava generando e distruggono senza coscienza e senza pietà. Ciò dimostra il perché del segreto delle società occulte meglio organizzate: i neofiti vorrebbero, appena ottenuto il permesso di picchiare alla loro porta, il bandolo della matassa occulta che si raggomitola nel segreto, e una volta impadroniti del secreto non servirsene ma propalarlo, cioè uccidere il germe che feconda il visibile. Perciò il lungo e perspicace cozzare dei neofiti nelle porte di bronzo che chiudono il tempio; essi, non spogli delle imperfezioni della natura, vogliono a ogni costo sorprendere il dio ignoto per essi che feconda nell'ombra il germeche deve dar vita a una quercia maestosa. L’uomo profano ha l'incoscienza dei bambini innanzi agli oggetti frangibili; per il solo desiderio dell'esperimento un fanciullo rompe un vaso di cristallo prezioso per l'artificio, e per la curiosità di vedere l'interiore di una bambola la mette in pezzi! Perciò gli uomini che parlano restano nel vestibolo della chiesa a far le chiose e a motteggiare i passanti e fanno l'ufficio delle cicale sui fichi e della civetta nelle panie per gli uccelletti. I loquaci sono profanatori per istinto: la libera critica della scienza operante nell'occulto è dei fonografi che si ripeteranno in eterno, e non troveranno mai la via di Sionne. Chi vuol capire capisca, e faccia tesoro di quanto io vado inoculando nella psiche del lettore di buona volontà. La lega formidabile dalle gazze (da cui gazzettieri) dello scibile umano contro il segreto è appunto da ricercarsi nell'impotenza dello studioso volgare di sorprendere l'atto di fecondazione della vita - che è simbolizzato nel fuoco magico, fuoco vergine delle vergini sacerdotesse di Vesta. Perciò coloro che parlano formano accademie scientifiche negli orti accademici: orto da orior, utero delle verdure mangerecce, dei cavoli e delle rape, pasto di volgo e dove la divina ambrosia non si tocca perché non si vede. Perciò chi si inizia deve saper conquidere il mistero per raggiungerlo. Geova o Jeova è un dio nero: horresco, non è possibile, dice il volgare che lo ha visto dipinto nelle storie sacre con tanto di barba e, come facitor di luce, con il sole in mano; ma pure è così, perché il creatore di luce, che si manifesta per la luce, è nell'ignoto e resta ignoto. Dice il volgo dei filosofi del visibile che Dio non È, ma questo stesso volgo si inchina innanzi al sole fisico che è creazione del Goeva o Jeova che non si vede e non si è lasciato mai sorprendere in mutande dai fanciulli curiosi dello scibile, curiosi più delle femmine, ciarlieri più delle ciane di Lungarno, e sospettosi più degli avari che danno a prestito alle meretrici.
Il dualismo stabilisce il confine tra la verità e l'illusione, tra il sole e la luna della cabbala astrologica - che cosa è questa lotta, la si vedrà passo per passo dallo studioso nella vita praticata - il mistero appartiene alla verità generativa, alla fecondante, alla divina, però è necessario che vi sia anche uno verità generata. Così i sapienti dell'una sono volgari sacerdoti della realizzazione, e i sapienti dell'altra sono gli occulti generatori di questi. Il bene ed il male devono trovarsi nel vestibolo del tempio e non nel tempio; nel peristilio, cioè dove si accalca la turba pettegola, maldicente e ladra, dei venditori che il buon Gesù scacciò col flagello dal tempio; ma nell'occulto, dove non esiste che la Legge Inesorabile del progresso nella natura e nella sua generazione, non vi può essere che il bene assoluto, cioè la Giustizia, cioè il Geova, dio invisibile che si manifesta per la sua bontà intransigente, fatale, nell'atto della creazione.
Da questo focolare del dio inesplorato, in cui la Giustizia più alta rappresenta l'unico bene, Giove spesse volte saetta e lampeggia irato. La turba pettegola innanzi all'irato Nume invisibile, occulto, intangibile e perciò calunniato, e perciò negato, si inchina sbigottita e implorante: il bene genera il terrore come un richiamo delle pecorelle smarrite all'ovile della verità. Il terrore del castigo è un male? Il dolore della giustizia punitrice è un bene? Domandatelo alla filosofia di Domenico di Cuzman, inginocchiato innanzi alla madonna del Rosario, supplice di redenzione. Domandatelo al Calvario degli evangeli e al culto del sangue di Cristo. L'iniziato deve aspirare alla soluzione di questo problema per il volgo petulante; innanzi alla sua coscienza non vi è altro Minosse che la giustizia divina che nella sua misericordia eterna e vera si ammansisce dinanzi all'offerta dei frutti primaticci di Abele e si acciglia e saetta di fronte al dispregio e al vilipendio.
Ariel creatore
XVI L'uomo che vuol raggiungere la potestà di operare, forza giustizia e purità di Ariel, non deve nell'atto generativo delle creazioni rassomigliare agli uomini nè alle loro passioni ispirarsi, in questo è la sua assoluta rassomiglianza al Dio, in questo è il completo successo del suo ascenso, qualunque siano per essere la sua storia, i suoi mezzi, i suoi sistemi di creazione e di realizzazione. Magia diabolica e magia angelica, magia bianca e magia nera, non sono che vaghe e vane parole innanzi alle quali non esiste che un solo fatto: la possibilità del Mago di imitare e fondersi nella natura divina, cioè nella natura delle cose creabili e da crearsi.
Il mio discepolo impari che per spogliarsi di tutte le passioni degli uomini, per purgarsi di tutte le gravi e pesanti catene che cingono il corpo dell'angelo involuto, non bisogna che coltivare due virtù divine: l'amore agli uomini e il perdono: queste due virtù sono racchiuse nell'ideale della carità. Nel fulgore delle passioni umane, quando l'amore degli uomini si traduce nella libidine e il perdono nella sottomissione alle forze fatali e violente che ci opprimono senza darci il potere di ribellarci, la carità è l'araba fenice che. pone le sue uova sul cunicolo di una montagna introvabile. L'uomo si foggia, come del Dio, una statuetta curiosa della carità, e la nutrisce di ambizione, di vanagloria, di ignoranza, di provvidenza umana e di filantropia. Il lettore giudizioso osservi bene le istituzioni della civiltà e vegga in qual modo e come si scostino dalla divina carità di cui parlano Budda e Cristo. Ciò segna lo stato delle barbarie dei nostri tempi, in cui l'egoismo sociale predomina in tutti gli atti della sovranità degli stati in opposizione agli interessi degli amministrati. Tutte le teorie che ora paiono più utopisticamente impossibili troverebbero la loro realizzazione possibile nella trasformazione in bene della natura umana, cioè nella rigenerazione divina dell'uomo decaduto dai suoi diritti divini. Però una è la legge che governa spiriti e cose nelle trasformazioni: è logge seriale, geometrica o aritmetica secondo il valore delle progressioni; è legge di rigenerazione pel dolore secondo il grado di convulsione dell'organismo sociale. Ma la carità del Cristo che para la sua guancia a chi gli ha dato uno schiaffo, e quella del Budda che si dà in pasto a una tigre per non farla morire di fame, è carità ancora molto lungi dall’ideale moderno della carità mercante, nella politica, nelle società religiose e nelle famiglie, dove l'oro che rappresenta la sintesi di ogni benessere non serve che a diffondere il pregiudizio che il bene è nel piacere ed il male è nel dolore. Gli istituti umani hanno alla parola carità sostituito la filantropia, ma solo quando la filantropia ridiventa carità si sarà montato un altro scalino della perfezione sacerdotale.
Ogni discepolo che opera in magia deve sapere amare e saper perdonare. Un amore senza egoismo è divino, quantunque tutte le donne non possano concepire che si può essere amate intensamente e idealmente senza macchia alcuna di gelosia, la quale è la condensazione dell'egoismo in amore. L'amore è la carità più affascinante dell'istinto; la sua decadenza è la prostituzione di tutti i sentimenti nobili, cioè divini e divinificati nell'uomo. L'amore è il complemento più prezioso della sociabilità ed è la chiave di Iside purissima che schiude i fecondi tesori della divinità nelle creature umane e decadute. I misteri di Venere non furono che celebrazioni del culto di questo amore comprensivo che unisce i due poli della creazione nella creazione del mercurio vitale e intelligente. La Rosa Mistica è Rosa di Amore. Il Romanzo della Rosa e le Corti di Amore dell’Evo Medio, le cantate dei trovieri e dei trovatori, i poemi come quelli dell’Alighieri e i minori di Brunetto Latini e di altri non sono che romanzi della Carità nell'amore, e la romanza è amore per carità. Nessuno fu poeta senza amore; la poesia è dipinta come l'amore; ma nell’amore vi è la verità, cioè la carità in germe. Di qui i rituali satannici generanti la gloria della generazione negli amori impuri, e l'aborto nella prostituzione e nella vita senza amore ma solamente sensuale e libertina.
Il Perdono è una faccia dell'amore purissimo per gli altri imperfetti. Sapere amare è saper perdonare. Un padre e una madre perdonano al figlio che è il loro amore. Tra tutti gli amori bugiardi, il meno bugiardo è l'amore materno, perché è il meno egoistico. Nonpertanto neanche l'amore materno è vero se non nell'incoscienza del perdono, e la madre che piange il dolore che rigenera il suo figliuolo è egoista, come il più gran numero delle madri.
Sappiate perdonare e diventerete degli dei in terra. L'offesa non vi tanga, quasi non vi insulti e considerate il vostro offensore come un bambino innocente che vi tiri uno sputo sul volto. L'educazione magica, divina e divinificante, è educazione del perdono, diversamente il mago diventerebbe uno strumento formidabile contro tutte le passioni dei prossimi.
Amore e Perdono sommati nella carità differiscono completamente dalla filantropia, pel carattere divino della prima e umano della seconda. La carità è potente come un sacrificio dell'essere relativo per l'essere assoluto; la filantropia è la passione dei zoofili che cercano di proteggere le bestie, di alleviare loro i tormenti, ma non di farle sedere alla propria mensa, ne di trascinare i carri pesanti in loro vece.
Ariel dominante
XVII. Chi riesce a dominare l'odio nell’amore dei suoi nemici li domina inesorabilmente. Il trionfo dell'amore è nell'atto di forza della sua giustizia, ed è invincibile nella sua potente affermazione. Ariel come forza e spirito attrattivo di amore è prodigo di perdono.
Bismarck ha detto che il diritto è una sciocca invenzione dei deboli, mentre non vi è altro diritto che la forza. In assoluto ha ragione. Questa forza è diritto, perché il dio che non è giusto non è forte.
Si legga la favola del cagnolino che andò per assalire un leone. Il leone dopo essersi fatto mordere trovò che i denti della bestiolina non gli avevano neanche torto un pelo. Allora disse al suo nemico: vedi, io potrei ammazzarti mangiandoti; ti risparmio la vita perché sei piccolo. Il cagnolino allora ritentò la prova, con eguale esito. Il leone lasciò fare, e gli ridette il perdono. Ora la forza del leone lo rese generoso, ma se il leone non fosse stato forte non avrebbe avuto la clemenza dei forti.
Epilogo
O Ariel, raggio e potenza della forza di Giove, dopo che l'uomo, microscopica particella nell’immensità dei mondi, ti ha conosciuto, la favilla divina che era in lui si è riaccesa del suo primitivo splendore. Dove sei? Chi ti invoca, ti vedrà? Chi ti invoca ti sentirà? Qual è il tuo viso, o spirito marziale sfolgorante di luce e di fuoco? Qual è la tua voce nell'armonia delle cose visibili? Quale il tuo amore, quale la tua potenza?
Nelle civiltà orientali desti lo splendore e le magnificenze a Ninive, a Babilonia, a Menfi; in Tracia Orfeo t'incantò; nella Grecia Giasone ti volle conquistare, Ercole avvincere; nella latinità diventasti l'aquila della sapienza e del dominio di Roma; nel mondo cristiano parlasti nella Croce della verità.
Nel mondo tutti t'invocano, tutti ti adorano, perché di te non vedono che il viso ammonio, cornuto, abbondante; non sanno che diventi provvidenza attraverso la carità e che sei benefico nella gloria della giustizia.
Sii largo nel dare ai miei discepoli che ti chiamano nelle alte ore silenti della notte, nelle camere da studio nelle cui scansie si accatastano i volumi dell'umana sapienza. Comparisci loro in forma di gnomo o di rafo, divampante o etereo, siedi sul cornicione di un quadro antico e parla al neofito che vuol fare e sapere: digli la verità, la nuda verità; indi gli sorriderai e gli lascerai il tempo di riflettere.
Tra le cose che gli dirai non dimenticare di avvisarlo così:
- Non vi è scienza senza silenzio, non vi è possanza senza carità, non vi è forza senza giustizia. Io sono la virtù, io sono il trasformatore e il fattore dei miracoli.
Non mi lego a te che con un patto di alleanza: tu mi dirai: Io sono tuo ora e sempre; me lo scriverai col tuo sangue, vi metterai in quelle stille di sangue la tua anima imperfetta e aspetterai. Io, prima di accettare, ti spierò attentamente. Vedrò se hai tentato di vendermi lupini per zaffiri, se la verità è in te, se la tua speranza è il tuo amore e ... se tutto è vero io verrò a te, ti darò la forza nella giustizia, l'amore nella carità, la luce nella Scienza. Quando mi cercherai sarò vicino a te, quando dormirai veglierò su te, quando combatterai il male sarò per te
Al discepolo intelligente, neofito in Magia, lo spirito del secolo non tolga la vista acuta; il guardiano della soglia ruota la durlindana fatata, digrigna i denti, scoppietta la lingua, fulmina con gli occhi potenti: ma il discepolo passerà se saprà tacere, volere, amare.
Scienza è forza, è giustizia, è carità. Scienza non è delirio, non febbre, non passione, non orgoglio, non ambizione, non menzogna. Il fulmine è una legge inesorabile, come la forza nella giustizia e la carità.
In questa scienza trovarono il sorriso innanzi alla morte i martiri dei grandi ideali, e le felicità del mondo gli imperi sacerdotali.
Ricordati, o amico discepolo, di essere savio e sapermi leggere, perché io ho finito e altro a dirti mi è vietato, perché troppo ho detto specialmente dove tu hai creduto che io non abbia svelato l'arcano della magia dei grandi maghi, come ti avevo promesso.
Giuliano Kremmerz