Judices dii judicantes

Ho pensato alla possibilità della morte che potrebbe colpirmi da un momento all'altro e chiamarmi innanzi al tribunale degli dei per dare conto dei miei cinquant'anni di vita nell'inferno umano.
Mi è apparsa dinnanzi agli occhi la bilancia che i cattolici mettono in mano all'arcangelo e mi sono detto che gli errori commessi devono raggiungere un tale peso enorme che se anche mettessi nell'altra coppa il campanile di Pisa  e il duomo di S. Ambrogio non potrei riuscire a ottenere  l'equilibrio voluto per tornare negli Elisi.
Unica mia scusante è che il bacillo della falsa e morbosa pietà per le opinioni altrui mi ha infestato dalla nascita e io, che sapevo e so, mi sono chinato dinanzi agli umani e ho arzigogolato argomenti e ragionamenti per persuadere gli ignoranti presuntuosi che... non si sono convinti né persuasi della loro ignoranza.
O Giudici Divini, vi chiedo perdono; la colpa non è mia, è della superbia degli altri e del bacillo della pietosa viltà che mi ha fatto errare il cammino.
Voi, o Dii Supremi, ben sapete di quali stinchi di beccamorti è formata l'umana società e, se aveste avuto opinione migliore della mia, non avreste permesso - ogni tanti secoli - delle invenzioni religiose come il buddismo, il cristianesimo e l'islamismo per mettere un argine all'appetito degli emergenti che divorerebbero le carcasse dei propri simili, ossa e abbigliamenti compresi, per poi distruggersi tra loro con la crudeltà golosa degli antropofagi dilettanti.
Mi avevate quaggiù mandato con la missione di chiamare i migliori e dire loro la verità e me ne sono fatto dei nemici, perché è parso ai più che io abbia commesso lo sproposito di fare credere loro che hanno una testa per giudicare delle fandonie e per restare del loro parere.
Né sono valse le buone parole, le buone azioni, i buoni pensieri; la mia piccola missione non ha fatto che pochi proseliti nei già preparati a sentire una voce divina, la vostra per la mia bocca. (Si nota un certo movimento tra i giudici divini; uno di essi torce il muso, Mercurio saltella irrequieto...).
Ho cominciato col richiamare l'attenzione del pubblico sull'esistenza di una scienza portentosa della natura e dell'anima umana; ho evocato l'antica magia e la sua essenza filosofica, spogliandola dalle infinocchiature dei plebei, ne ho fatto vedere le corrispondenze coi tipi religiosi delle credenze più diffuse e classiche e ho detto a tutti che la divinità magica - trasmutatoria e miracolosa - risiede nell'uomo, in tutti gli uomini, e si svela a chi la sollecita e ne è degno.
Fino a quando esposi storie e teorie le cose andarono meno peggio di quanto potessi temere. Della gente che sente il moderno e il progresso solo nelle parole mi diede la croce addosso perché adoperavo la voce Magia; voleva nomi nuovi, non importa che la cosa fosse vecchia; e io a gridare che non potevo, perché la favella umana - per tanti secoli di povertà intellettuale - non ne ha fatta una che risponda all'idea, poiché i cultori di magia filosofica e operante sono, come le bestie a tre occhi, rarissimi che hanno scritto di cose tanto contrarie alla quiete delle anime piccole e vilissime della moltitudine spavalda.
La gente dotta, tipo accademico, per la quale non esiste che la sua scienza, non mosse ciglio né fece finta di udire; quelli che tentarono di mettersi all'avanguardia dei nuovi studi scrissero e ancora scrivono roba da chiodi sulle scienze psichiche, che non sono la magia né parte di essa dal loro punto di vista, mentre è tutta l'antica magia, di cui essi non hanno mai sentito parlare...
Ma due tipi di cultori del meraviglioso si sentirono istintivamente presi in burletta: gli spiritisti e i teosofi che, vi giuro - o numi barbuti - non mi hanno mai digerito e hanno contribuito a non farmi intendere.
Numi santissimi che nelle frescure degli elisi ammirate le giostre delle ninfe coi satiri divini dei giardini olezzanti di tuberose voi non avete, né potete avere, neanche la più vaga idea di quanto sia diffusa, nell'inferno degli uomini, la credenza negli spiriti dei defunti che parlano e vengono in sogno ai viventi. Oltre i veri e propri spiritisti che fanno parlare, scrivere, picchiare e sonare gli spiriti dei trapassati, chi meno credete adatto (per esempio qualche professore che nega scientificamente tutto e, in segreto, si commuove sognando la madre morta) cova una profonda sentimentalità atavica che gli dà la fede di credere alle anime del purgatorio!
Giuro sulla tomba degli antenati di Matusalemme che ho fatto di tutto per far ragionare questi umani campioni della credulità; ma non vogliono ragionare, sommi iddii; hanno bisogno di credere che lasciando questo grazioso pianeta che rotola negli spazi come una palla di gomma, l'Uomo-spirito o l'uomo anima sia libero dalle leggi della natura unica e viva e ragioni e vagoli a una velocità inverosimile da un punto all'altro dell'universo per apparire, consigliare e parlare a quelli che, imprigionati nella carne, mangiano ancora il risotto alla milanese o le fettuccine romane.
I teosofi, d'altra parte... ma voi, splendidi e saggi dei degli Elisi non conoscete ancora questa rara e magnifica enciclopedia vivente indo-anglo-americana che si chiama Teosofia e occorre che io ve la presenti a grossi tratti perché non è l'uovo di Colombo, ma per la sua semplicità e ampiezza è addirittura un uovo di cento torli, tanto è comprensiva, come scienza religiosa e iperfisica, di tutte le scienze religiose e iperfisiche di tutte le razze, di tutte le religioni, di tutti i tempi. Meno un certo vocabolario indostano che consiglia di chiamare l'anima o spirito, i sensi, l'appetito con vocaboli perfetti estratti dalle memorie camitiche della torre di Babele, la teosofia prende tutto sotto le sue grandi ali e diventa madre anche delle cose increate. Se domani un uomo dovesse scoprire il modo di fare la polenta senza farina, siate convinti - o Numi - che la teosofia dirà che già da secoli lo sapeva e lo aveva previsto. Così che lascia a tutti i soci libertà assoluta di estrarre dalla propria sinistra quanto d'inedito si sia mai sentito sulla faccia del vecchio mondo e i suoi Maestri li ha in Oriente, tutti indiani pronti a non sentire. (nuovo movimento nel consesso divino. Numa Pompilio, che funziona da cancelliere, annota con un risolino etrusco l'ultima frase della mia difesa).
Voi, o dei latini che visitavate di tanto in tanto l'Urbe, di tutte queste cose nuove e strane non vi date conto. Negli Elisi avrete introdotto l'idroplano, il biplano, l'automobile, il divino Mercurio si sarà provvisto di motocicletta, ma i giornali non li leggete... (l'ombra di Menemio Agrippa che è nella sala mi mostra un giornale socialista).
Questa gaia ed eletta schiera di poeti orientalizzanti in una palestra attiva per la sua mondanità, che beve il tè... (Bacco ha dei movimenti peristaltici dell'addome... Esculapio gli porge un calice di falerno) e che non ammette il perdono e il lavaggio dei peccati commessi se non espiando passo passo tutte le colpe in una digestione purificatrice, non poteva essere tenera con le cose più semplici che predicavo io e che avevano il poco merito di essere scritte nelle vicinanze di Ercolano, Pompei e Cuma, dove tutto parla di voi o delle vostre grandi opere. (Cupido fa una breve capriola e accarezza le turgide mammelle di Venere; l'ombra di Petronio mi sorride) Fino allora, in piena teoria, meno male; ma la mia piccola missione era di scendere alla pratica e cominciarono, o Beatissimi Numi Giudicanti che conoscete le male lingue del superbio e delle taverne dei liberti, le voci: Chi è costui? Che fa? Che vuol fare? Che scopo arcano egli ha? Come mangia? Come beve? Donde viene? Chi lo paga? È medico? È  dottore? È professore? Sa leggere? È virtuoso? Che vita mena? Invece di pensare alla cosa, gli uomini chiamati a raccolta pensavano all'uomo che la proponeva e molti anni sono passati in tormenti piccoli e grandi, tra la diffidenza dei molti, la fede di pochi, i pettegolezzi del gran numero, la pazienza dei migliori.
Pochi discepoli, che saranno i maestri del domani, fecero tesoro del vostro insegnamento; altri parvero defezionare e saranno i maestri del posdomani; altri mi rinnegarono, ma il vostro VERBO ha fatto buona presa nell'animo loro; spunteranno in ritardo, ma spunteranno.
I veri defezionatori furono un numero minimo e li trattenne la paura e la superbia individuale che li volle conservare bestie.
A tutti tenni il linguaggio chiaro e preciso come l'Onnipotente Esculapio m'infondeva.
Se la filosofia è vera, la pratica deve dimostrarlo. Facciamo la pratica della medicina divina: sviluppate in ognuno di voi il potere energetico di guarire voi e i vostri simili dai mali di cui siete afflitti e formate una catena di anime e create una fonte di salute in pro del popolo dolorante. Operate, agite, vogliate, sottraete le influenze attive e imponderabili delle ubriacature dei mistici, degli isterici e dei pazzi, e guarite. Lasciate che il medico raccolga la riconoscenza dei guariti. Voi dovete dare all'ammalato una forza, un fattore invisibile che ne determina la sanità con un medicamento miracoloso che è parte di voi stessi.
La vita e il germe di vita che scorrono nelle vostre vene sono parti comunicanti con la vita e il germe di vita che vibrano nelle arterie dell'universo, il serpente di Esculapio ve lo addita e quell'Unica sorgente qui zampilla, là si affievolisce, più in là si inaridisce e spegne. Operate, agite, vogliate con convinzione fuori ogni misticismo e ogni più malvagia ricetta di un medico qualsiasi acquista  valore di miracolosa medela. Non vi commuovete, non sperate compenso, non ne accettate mai, perché quello che farete e produrrete non ha prezzo che lo paghi e ogni prezzo lo abbassa e lo umilia. (Esculapio è raggiante, Mercurio fa due piroette)
Fondai dei Circoli e delle Accademie e se facemmo del bene - o Maggiori Iddii - non sono io che devo farne l'inventario; posso solo dirvi che nessuno picchiò alla nostra porta invano, e dove non potette ottenere la sanità mai si allontanò senza una parola consolatrice.
La parola è consolazione quando, più oltre la forma di convenienza sociale, è detta al sofferente da un uomo che ne comprende le afflizioni. Ma, compiuto questo primo atto, lasciai che i più anziani si emancipassero. Io mi rintanai nel mio guscio come la testuggine in letargo.
Il seme, sparso sulla terra fertile dei migliori, germoglierà. I pochi che hanno compreso la vostra parola si faranno comprendere e tempo verrà che le propaggini della prima radice saranno una foresta. (L'ombra di Cicerone venne a stringermi la mano)
Numi Altissimi, Dii Gaudenti e Maggiori, meglio non ho saputo fare; e quanto mi sia stata molesta questa vita di apostolo avvelenato, punzecchiato, discreditato, vilipeso, calunniato di ogni requie e di ogni sesterzo lo sa Mercurio... (Segni di assenso).

Giuliano Kremmerz