IL NOVIZIO INCERTO, DUBBIOSO E INSODDISFATTO

(Riduzione a cura della redazione)

Iscritti nella Schola e diventati novizi, gli appetiti, secondo le origini di ciascuno dei nuovi iscritti, si manifestano nella nudità più espressiva.
Il gran numero, alimentato dalle svariate e multiformi letture dei romanzi dell’occulto, s’immagina che basta fare una domanda su carta senza bollo dello Stato per vedersi spalancare dinanzi a sé le porte della Divina Commedia e in quaranta notti o altrettanti giorni si arrivi a parlare con Beatrice dei Portinari e fare una partita a briscola con la seconda persona della santissima trinità… cabalistica.
Appena vedono che sono messi a maturare come le nespole sulla paglia con l’esecuzione dei riti quotidiani, cominciano a sentirsi a disagio, nervosi, impazienti, nevrastenici. Hanno fretta. Ognuno si sente in seno un Achille speciale, capace e in diritto di correre la maratona della iniziazione e brontola insoddisfatto.
Parliamoci chiaro: le idee che vanno almanaccando sui libri i superuomini dell’arrivismo occultista è prosa o fiaba? Io intendo che il carattere italico della nostra fratellanza non debba autorizzare nessuno dei nostri più progrediti a convalidare con altre fiabe il favoleggiare di moda degli scrittori dell’ultimo ventennio: armati di pompe di acqua fredda abbiamo invece il dovere di risciacquare le fantasie romantiche imbevute dai milioni di frottole stampate e digerite come cibi di prima eccellenza.
Il preludio alla nostra opera di pratica fu scritto da me nel Mondo Secreto con gli Elementi di Magia Naturale e Divina, i quali ebbero di mira di presentare i fattori della grande filosofia ieratica e iniziatica con un invito costante al lettore di alimentare un solo ideale: la magia operante; vale a dire l’applicazione della dottrina alla relatività dell’esperimento all’ascenso.
(...) La porta della Schola è larga nell’ammettere ogni uomo di buona volontà e ugualmente spaziosa per permettere la ritirata se qualcuno preferisce rimanere nella illusione che la scienza ermetica sia la chiave per infrangere tutte le leggi della natura e per realizzare l’inverosimile.
Quindi parlo ai novizi nello stesso tono determinativo: il noviziato è una preparazione cosciente e pratica; il novizio è un enigma che, come negli antichi misteri di Cerere, sta sui gradini del tempio che ha la porta sbarrata e il novizio, invece di essere condannato ad assorbire letture di poeti dell’occulto, è allenato gradualmente alla sua commutazione in pila animale, generatore di una forza N che è ignota a lui come alla grande maggioranza umana.
Questa forza N appunto perché non si conosce che per i suoi effetti, ha nomi diversi: forza psichica, forza nervica o nervosa, animica, astrale, ecc. Esaminare l’essenza di questa forza in natura (N) è cosa sperimentalmente sciocca specie nel noviziato.
Questa forza N è uno stato molecolare di essere o atomico di un movimento intenzionale e intelligente. L’elettricità, il calore, il magnetismo terrestre, il suono, si trovano nella condizione di realtà probativa per gli effetti e fanno parte della sapienza umana.
Il novizio è assetato di teorie che spieghino e poi provino: viceversa deve inchinarsi alla necessità dell’esperienza che non ha niente di singolare, perché è comune a tutta la fisica. Parlare di magia, di ermetismo, di leggi secrete, di arcani, di misteri è cosa facilissima perché su tali argomenti agisce la fantasia puerile dell’essere umano nutrito per tanti secoli dalla formula religiosa e perciò gli pare dolcissimo di evocare un mondo ideale bello o brutto, che egli elabora in modo da farlo parere a se stesso inverosimile.
O carissimo fratello, che sei venuto a fare qui, nella nostra Schola, se vuoi mantenere integri i tuoi sogni e non hai letto sul frontone di questa Porta Ermetica che noi insegniamo a non credere che provando?
Ora, se vuoi veramente fare cammino non devi imporre ai tuoi insegnanti un metodo assurdo che a te piace e che non può essere il nostro. Il primo quesito di indole scientifica che devi proporti è questo:
PUÒ UN NUMERO DETERMINATO DI INDIVIDUI ALIMENTARE UN SERBATOIO CENTRALE DI UNA FORZA N IN CUI CONFLUISCONO TUTTE LE FORZE DELLA STESSA NATURA, E DA CUI OGNI FATTORE PUÒ ATTINGERE ENERGIA, TALE CHE DA SOLO NON SAPREBBE PRODURRE?
Può essere vero e può essere una fandonia.
Proviamo. Per provare cominciamo prima a metterci nei fattori di formazione: all’occorrenza provochiamo il richiamo di questa forza centrale.
Prima di andare innanzi spiego a quelli che lo vogliono sapere il meccanismo magico-ermetico che riunisce ciascun numero alla fonte o serbatoio centrale.
Ogni individuo ascritto nella Schola diventa un numero.
Numero vuol dire esponente della sua virtualità astrologica.
Il calcolo astrologico su di una persona iscritta in base ai dati di nascita, determina il suo valore numerico.
Rifletti bene o novizio laureato e filosofo a quel che ti dico e a quel che facciamo.
La personalità sociale dell’iscritto, sia un modestissimo operaio o un professore famoso, a noi non riguarda. Il valore che egli astrologicamente rappresenta è la sola potenzialità assoluta del suo concorso alla nostra opera: il numero.
Capisco benissimo che tutto questo è sconfortante per molte persone che ci tengono assai alla loro maschera volgare ma per noi, cioè per l’opera nostra, non conta che il contributo che le pile ci danno.
E’ un calcolo da vilissimi meccanici, ma se non facciamo così il serbatoio centrale resta vuoto.
Questo individuo sociale, diventato nel noviziato un numero, quando fa il suo rito quotidiano, per una ragione ermetica che è prematuro spiegare per farci sopra una non meno inutile filosofia, la sua formula rituale non ha valore secondo la personalità profana e le sue fisime sociali, ma più intensamente secondo la sua individualità astrologica occulta.
Da questo che ho spiegato risultano diversi corollari.
Il rito e la formula rituale non obbediscono magicamente alla personalità cosciente esteriore dell’operatore ma all’individuo cosciente intimo, ovvero alla coscienza occulta dell’individuo integrale. Se tra la coscienza occulta e la normale non esiste omogeneità, l’effetto del rito, pur essendo sicuro contributo alla catena della Schola, molte volte è in perfetta contraddizione coi desideri espressi dal praticante. In magia la pratica di un rito è per se stesso un arcano perché colui che lo compie deve volere – e, sempre in magia, il significato ermetico della parola volontà non è quello che umanamente si intende. Da qui molti equivoci, molte disperazioni, moltissimi errori. L’esercizio umano della volontà è sotto il dominio specifico della passione che assume spesso la forma del ragionamento logico: così pare che quando umanamente vogliamo una cosa siamo tutti noi stessi che la vogliamo, mentre è solo la coscienza relativa e più bassa che si è ubriacata.
(...) La volontà ha veramente un valore potenziale magico o quando è espressione preponderante della coscienza occulta in noi, o quando la personalità esteriore è d’accordo con l’individuo occulto che è in noi. In chi agisce magicamente avviene lo stesso che si riscontra nei medi nei quali la trance, o stato di trance quando è profondo, mette in evidenza spesso una personalità occulta in perfetta contraddizione con la palese; è inutile filosofare, così è fatto l’uomo: una somma storica del suo essere antico (che è occulto e quindi assume la faccia dell’incoscienza) e una personalità recente cosciente dei suoi atti che si sforza costantemente a mantenersi nei contatti umani contemporanei e sociali.
L’integrazione dell’uomo comincia quando la personalità cosciente combacia con la coscienza dell’uomo occulto e storico. Chi non capisce questo è inutile che si metta a fare saggi di magia perché è destinato a un insuccesso ogni quarto d’ora.
Una pratica magica differisce dalla preghiera religiosa in questo appunto: la prima deve fondare il suo potere volitivo sulla volontà intima e alimentare il valore della immagine (imago, cioè in-mago); mentre la seconda parte dalla coscienza esteriore che ha fede in ciò che è più in alto e non vede.
(...) Ora un assioma ermetico e magico.
PER SAPERE CHE COSA SIA LA TAL COSA, O AMICI CARISSIMI, BISOGNA DIVENTAR LA COSA STESSA.
Tu puoi leggere e fantasticare quando e quanto vuoi sulla maniera di battere il ferro rovente sull’incudine e fino a quando non martelli davvero non diventi fabbro, tanto meno martello, tantissimo meno ferro battuto. La Schola è educazione, è pratica, è allenamento, non semplicemente erudizione.
Per l’erudizione bastano i libri, per la pratica occorre l’officina: la difficoltà del nostro esperimento è di dare un saggio pratico, non teorico né singolare, della possibilità di pervenire. Poniamo il caso che a Roma sorgesse un Apollonio o un Simone Mago che facessero miracoli da sbalordire perfino il papa: che ne avresti guadagnato tu, o diletto novizio laureato, se tu resti tal quale… più laureato di prima? L’officina viceversa ti avvezza, ti abitua alla constatazione di un meccanismo vibrante di cui tu sei uno dei fattori coscienti.
(…) Non avere che il programma unico di arrivare per la via maestra… spogliandoti delle abitudini viziose di immaginare che le cose siano come tu le hai viste fino al giorno nel quale hai picchiato alla nostra porta. E pensa, come tante volte ho detto e scritto, che la Medicina Ermetica è un saggio di prova, non un’unica prova, poiché le scienze dell’occulto hanno applicazioni infinite per quanti sono i casi della vita.
Un ammalato che ricorra alla tua e nostra opera, può guarire o no, ma certo da te e da noi ritrae un beneficio di amore, un’onda piccola o grande che lava il suo spirito da tutte le precarietà della vita prettamente bruta. Domanda a te stesso, dopo che anche quelli che ti ignorano sentono di amarti, se hai compiuto un miracolo in questa zona terrena dell’universo dove tutto il sentimentalismo cristiano fa supporre che tutto sia amore – mentre la vita, nello spirito e nella materia, è una lotta incommensurabile in cui i trionfatori di oggi sono le vittime dl domani e viceversa, dove tutto si palesa in una guerra spietata di anime e di corpi e che l’atroce, il feroce cambia di fisionomia, ma esiste sempre nella sua integrità in qualunque paese civile come tra i barbari. (…)
L’amore, il solo amore, il grande magnete dell’amore è il miracolo della natura, in una confusione senza tregua di passioni vivissime e abbiette.
L’Amore è un Nume onnipotente.
L’uomo volgare – vale a dire il quasi totale dell’umanità – traballa di desiderio impuro dinanzi a questo nome divino, come il cavallo di battaglia freme al suono della fanfara militare. L’uomo sogna la femmina, la femmina reclama il giovane apollineo. Che errore, questo è Cupido, non è Amore: l’amore che uccide e che prepara la rinascita e la fecondazione nei tre regni della storia naturale è un dio mortifero che trasforma e dissolve nella cupidigia del possesso – ed è una lotta. L’amore che crea, l’amore di olocausto è di natura differente: dà tutto e non domanda niente.
Vuoi tu provare questo o quello? Sarà di te come della tua aspirazione, quando avrai visto che brutta cosa è la realtà della natura felina dell’umano genere di Adamo e di Noè.
(…) Ma tocchiamo un altro lato della questione: il novizio ha capito come la nostra Schola differisce dalle diverse associazioni di indole medica e taumaturgica delle altre nazioni? Ha riflettuto che noi non dobbiamo essere né una religione novella, né una setta, né un’accolita di entusiasti?
Schola è schola nel senso grammaticale della parola, ma è soprattutto esempio di educazione sperimentale. L’insieme dell’organismo determina le classi o gradi non per esame, né per valore dottrinario, ma per il progresso e conquista effettivi verso l’ideale della trasmutazione al tipo perfetto.
Delle parole iniziato, perfetto, adepto se ne è fatta una minestra che non se ne capisce più un’acca; ognuno per proprio conto definisce le parole come le intende: una babele linguistica. Ora, novizio emerito, io ti lascio riflettere che nella Schola, pedestre sinedrio di esperienze brevi, nessuno ti ha detto che siamo una schiera di iniziati e di perfetti e alla sommità della cupola non vi è un adeptato dai dogmi infallibili; anzi, qui e là io ti ho fatto sempre una gentile insinuazione di NON CREDERE. A chi? mi domanderai tu: a chi non devo credere? Agli iniziati, ai perfetti e agli adepti, alle panzane che leggi nei libri, ai voli fantasiosi degli altri e un po’ anche a me. Non credere agli iniziati, ai perfetti e agli adepti perché se questi esistessero non li conosceresti; perché queste arabe fenici se veramente esistessero non verrebbero a mettere i cartelloni in piazza, perché non avrebbero bisogno di farsi adorare; non credere ai libri perché chi scrive un libro spesso fa della letteratura e quasi sempre la piccola arte poetica.
(…) Continuo a fare appello alla buona volontà e metto te, o novizio, in guardia perché tu indenda che la SCHOLA, la nostra Fratellanza Myriamica, non è persona ma idea: anche il sottoscritto potrebbe essere un’idea che non ha persona. Le persone, gli uomini, le donne, le bestie, i vegetali, i batteri passano; chi se ne infischia più dei morti e della gente che passa? Ma tu analizza bene l’idea, non adorare e non odiare le bestie e le cose che passano: applica il buon senso a disaminare le apparizioni cinematografiche dell’inverosimile che ammirano in molti nelle incomplete importazioni di dottrine esotiche: sii demolitore delle frottole e comincia ad avere fede e coscienza in noi…
Noi? chi voglio indicare con questo pronome da presidente di alta accademia? Noi è il sottoscritto? Noi è il manipolo della cultura della nostra Schola? neanche per sogno. Abbi fede e coscienza in Noi, cioè in te e in tutti quelli che pensano come te e come me, se vogliamo ridurre le cose alla verità pura e semplice senza ipotecare lo spirito alla osservazione delle bubbole altrui e senza tentare il suicidio di ogni cosa partorita da noi con l’ignobile pretesto che siamo buoni a nulla.
(…) Se tu non crei la tua personalità di giudice sereno e imparziale, senza la falsa umiltà di crederti meno di niente, senza la religiosa ammirazione per tutto ciò che si impone a te, tu non entrerai mai nel regno della occulta filosofia, dove il grande miracolo è possibile solo dopo che avrai compiuto il piccolo prodigio di aggiustarti sul naso un paio di lenti che ti diano il colore, la misura, la tinta vera degli uomini e delle cose terrestri. Puoi essere dotto o meno dotto nelle umane discipline, ma puoi conquistare la geniale bestialità di valutare il male, la menzogna, l’illusione che finora ti hanno afflitto in nome della consuetudine di credere e aver fede, per inerzia a riconoscere il tuo valore metafisico e intellettuale di giudice. Attaccati all’idea, fuori di ogni idolatria di persone. Ciò ti dimostra che non ho idea alcuna di pontificare.
Giuliano Kremmerz