L'intelligenza della vita e della morte
Maritare i due serpenti, l'invisibile, che traduce il senso dell'Ermete nella sua integrazione, al visibile, che procede dalla ricerca profana per la conquista della sapienza umana, è opera formidabile che assume l'aspetto nebuloso e vago dell'utopia.
Non rivelo un segreto antico, espongo un programma di ricerche e dissipo le nuvole a cirri che nascondono la semplicità della formula. La ricerca della verità ermetica in noi si avvicina alla conoscenza del mistero della vita: penetrarlo è possedere l'intelligenza ermetica. L'altra ricerca sperimentale, oggettiva è la conquista per una scienza umana del mutamento delle forme e della conoscenza delle fasi vitali. L'interstizio è il regno mitico della divinità.
L'integrazione è iniziazione nel senso positivo e non mistico. Il misticismo cammina per fede e per idee seducenti nella visione della conquista fuori il creato. L'ermetismo è determinativo nella ricerca dell'aurum, una possanza trasformativa dell'inferiore nell'altissimo, per raggiungere il limite più sublime del mistero della vita nell'unità cosmica.
Mi sono servito di un nome alchimico: aururm. Segno questa via classica della ricerca e della occultazione del senso spirituale iniziatico.
La scienza sperimentale procede dai più bassi strati della manifestazione dell'umana sensibilità: la medicina naviga nelle analisi specifiche, sperimenta l'animalità, osserva il succedersi delle forme, dalle embrionarie fetali alle dissolutive della morte, ed è un bene. Abborda il problema della sensibilità e dell'intelligenza, del piacere e del dolore fisiologico, ed è un errore.
Nel primo stadio è un bene perché disamina il cadavere delle cose evolute e ne rileva i mezzi, i metodi, le leggi. Nel secondo è un male perché con gli stessi procedimenti inferiori si adopera alla conquista della parte suprema della personalità umana che è l'intelligenza, la quale è unità dell'organismo universale - l'intelligenza che è la sintesi di una vita animale e di tutta la vita universale - l'intelligenza che, come fiamma di vita, è l'arcano delle antiche scuole magiche e il mistero della ricerca dell'uomo.
Il dolore, il grande diavolo malvagio, spaventevole, orrido per i sensibili, esiste in rapporto alla centralità intellettiva dell'uomo che lo soffre. Lo stoico, come Seneca, per discreditarlo ne limita il potere e dice: "Perché spaventartene, o uomo? Se arriva a un punto che non potrai più soffrirlo, o morrai o cessa. Perché dovresti tu spaventarti di esso, se cessa o se muori? Hai paura della morte?" Le religioni di pietà, come il buddismo o il cristianesimo, o tentano di separarlo dall'unità organica materiale, estraendone l'intelligenza, o lo bagnano di lacrime calde considerandolo all'orientale come un'espiazione. Ma questo non è conoscenza essenziale della sua natura, che risponde prima a una sensazione e poi a un sentimento.
Il divino della medicina non è nella guarigione anatomica, che è iatrea, ma nella potestà ermetica della reazione mentale alla sensibilità del dolore o meglio nella potestà imperativa dell'intelligenza sulla riconquista della sanità anatomica come ultima valorizzazione integrativa dell'essere vivente.
Che cos'è la vita? Chi lo sa! Risponde il fisiologo, non senza citarti mille opinioni e altrettante teorie; ma la manifestazione della vita a noi è nei soli rapporti dell'intelligenza che ha funzione unitaria nelle relazioni delle funzioni organiche. La morte è determinata dalla cessazione delle funzioni organiche: obiettivamente un uomo è morto quando la circolazione è cessata e il corpo si disfa; soggettivamente il senso della separazione e della non intelligenza è una morte. La reazione alla sensibilità è un fenomeno che confessa la vivacità dell'intelligenza, ma la sensibilità non reagente è un fenomeno della periferia, è confessione di morte apparente.
Dunque, il limite del mistero innanzi al progredire dell'investigazione analitica degli studi medici è l'intelligenza umana, per la cui integralità la ricerca ermetica lavora in un senso inverso, dall'alto in basso e soggettivamente per entrare nei rapporti integrativi delle unità intelligenti umane o uomini.
Il mistero della morte è il limite al quale si arresta l'investigatore della scienza umana, così come la si concepisce nelle cliniche e nelle università, ma è pure il limite che la scienza ermetica deve prendere come punto di partenza per determinare, se è possibile, con quale tenuità di materiale l'io pensante può esimersi dalla necessità delle funzioni corporee.
Il problema del di là non sarà risolto che solo da coloro che arriveranno a conoscere se stessi, cioè la struttura, l'anatomia e la chimica dell'anima propria.
Giuliano Kremmerz
A cura dell'Accademia Kremmerziana di Messina