La rosa di Paracelso
Bussarono alla porta. Insonnolito, Paracelso si alzò, salì faticosamente la breve scala a chiocciola e socchiuse un battente. Uno sconosciuto entrò. Era molto stanco. Paracelso indicò una panca; l'altro sedette e attese. Per un certo tempo non scambiarono nemmeno una parola. Il maestro fu il primo a parlare.
“Ricordo volti d'Occidente e volti d'Oriente, ma non ricordo il tuo. Chi sei e che vuoi da me?”
“Il mio nome non ha importanza. Ho camminato tre giorni e tre notti per entrare in casa tua. Voglio diventare tuo discepolo. Ti ho portato tutti i miei beni”. Tirò fuori una borsa e la rovesciò sul tavolo. Le monete erano molte, e d'oro. Paracelso notò nella sua mano sinistra una rosa. La rosa lo inquietò.
Si chinò, giunse le estremità delle dita, e disse: “Tu mi credi capace di elaborare la pietra che trasmuta gli elementi in oro e mi offri oro. Non è l'oro ciò che cerco, e se è l'oro che ti interessa, non sarai mai mio discepolo”.
“L'oro non mi interessa, rispose l'altro. Queste monete non sono altro che una prova del mio desiderio di apprendere. Voglio che mi insegni l'Arte. Voglio percorrere al tuo fianco la via che conduce alla Pietra, anche se dovessimo viaggiare per molti anni. Ma prima di intraprendere il viaggio, voglio una prova”. Il giovane levò in alto la rosa. “Affermano che puoi bruciare una rosa e farla rinascere dalle ceneri, per opera della tua arte. Lascia che sia testimone di questo prodigio. Ecco ciò che ti chiedo; poi la mia vita sarà tua”.
“Sei molto credulo, disse il maestro. Non so che farmene della tua credulità; esigo la fede”.
L'altro insistette. “È proprio perché non sono credulo che voglio vedere coi miei occhi l'annientamento e la resurrezione della rosa”. Paracelso rifletté. Infine disse: “Se lo facessi, diresti che si tratta di un'apparenza imposta ai tuoi occhi dalla magia. Il prodigio non ti donerà la fede che cerchi. Dunque lascia stare la rosa”.
Sempre diffidente, il giovane lo guardò. Il maestro alzò la voce e gli disse: “E inoltre, chi sei tu per introdurti nella dimora di un maestro ed esigere da lui un prodigio? Che hai fatto per meritare simile dono?”.
L'altro replicò, tremando: “So bene che non ho fatto nulla. Ti chiedo, in nome dei molti anni in cui studierò alla tua ombra, di lasciarmi vedere la cenere e poi la rosa. Non ti chiederò altro. Crederò alla testimonianza dei miei occhi”. Bruscamente, afferrò la rosa rossa e la gettò tra le fiamme. Il colore si perse e rimase solo un po' di cenere. Per un istante infinito egli attese le parole e il miracolo.
Paracelso era rimasto impassibile. Disse con strana semplicità: “Tutti i medici e tutti gli speziali di Basilea affermano che sono un mistificatore. Forse sono nel vero. Qui riposa la cenere che fu rosa e che non lo sarà”.
Il giovane si sentì pieno di vergogna. “Ho agito imperdonabilmente. Mi è mancata la fede che il Signore esigeva dai credenti. Lasciami ancora guardare la cenere. Tornerò quando sarò più forte e sarò tuo discepolo e in fondo al cammino vedrò la rosa”.
Parlava con passione autentica, ma quella passione era la pietà che gli ispirava il vecchio maestro, tanto venerato, tanto attaccato, tanto insigne e perciò tanto vuoto. Chi era lui, Johannes Grisebach, per scoprire con mano sacrilega che dietro la maschera non c'era nessuno?
Lasciare le monete d'oro sarebbe stata un'elemosina. Le riprese uscendo. Paracelso l'accompagnò ai piedi della scala e gli disse che sarebbe sempre stato il benvenuto. Entrambi sapevano che non si sarebbero rivisti mai più.
Paracelso rimase solo. Prima di spegnare la lanterna e di sedersi nella poltrona consunta, raccolse nell'incavo della mano il piccolo pugno di cenere e disse una parola a bassa voce. La rosa risorse.
Jorge Luis Borges